Si soffre parecchio quando si ama la propria città e la si vede lentamente e, quasi inesorabilmente, peggiorare. Una sofferenza che diventa fastidiosa, insopportabile, quando quella che è sempre stata casa tua, non è più la città in cui vivi. La vedi e te la raccontano come una terra sempre più brutta e selvaggia, ma tu non puoi vederlo con i tuoi occhi; e soprattutto, sei lontano, fattene una ragione, non puoi fare nulla per provare a cambiarla.
E allora in quel caso, lunica cosa che ti viene in mente è scrivere: scrivere per ragionare, per riflettere. Scrivere nella speranza che qualcuno ti legga, ti comprenda. Scrivere perché ti libera, perché ha quasi una funzione catartica.
E da più di un anno, ormai, che Catania non è più casa mia. Per il momento vivo tra la nordica e accogliente Bologna e la ancora più nordica e meravigliosa Gent, in Belgio. Un po qua e là, distante da casa, come gran parte delle ragazze e dei ragazzi che ho conosciuto nei miei anni di triennale allUniversità a Catania. Il mio infatti non è un caso isolato: siamo quasi tutti andati via, chi forse in modo provvisorio, chi invece più definitivo. E, intanto, chi a Catania è rimasto sogna o pianifica di andare via il prima possibile.
Il quadro, insomma, non è mai stato molto positivo.
Limpressione negli ultimi mesi, però, è che giù a casa tutto stia sostanzialmente precipitando: la recente aggressione del ciclista al Lungomare non fa altro che aggiungersi al disperato gesto di Salvatore La Fata, venditore ambulante datosi fuoco in piazza Risorgimento qualche settimana fa; al licenziamento dei dipendenti di Telejonica e Rete8 e alla chiusura della loro testata giornalistica perché a chi comanda Catania fa comodo avere un giornalismo, soprattutto dinchiesta, morente; alla recentissima sentenza sul caso Farmacia, una sentenza che al momento bisognerà leggere le motivazioni , dopo anni di indagini, non sembra essere stata in grado di spiegare le morti dei giovani ricercatori e indicare i nomi dei responsabili; alle ennesime elezioni universitarie che chiudono la solita campagna elettorale fatta di favori e favoricchi, perché anche i giovani politicanti allUniversità dimostrano di aver imparato molto dai vecchi politici che amministrano le nostre città e il nostro paese.
E questo, sostanzialmente, il tipo di notizie che arriva da casa.
E scusate se la voglia di tornare a Catania, quasi quasi, mi passa anche.
Sì, lo so, molti che leggono penseranno che la mia è una visione troppo pessimista, che Catania è ben altro rispetto ai fatti pessimi che ho appena riportato. Catania è anche i ciclisti che ripuliscono il Lungomare, le associazioni di volontariato, i centri di aggregazione sociale e politica che tentano, nei quartieri popolari, di diffondere cultura e amore per la città, i giornalisti freelance e le piccole testate giornalistiche indipendenti che coraggiosamente portano avanti una visione diversa di giornalismo.
Il problema però è che tutto ciò, seppur bello, è poco, troppo poco.
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