Jane Campion

Prima proiezione del mattino. “In The Cut”. Ogni giornata di festival propone la propria lezione, il cinema si fa regista di se stesso, l’occhio indiscreto, magico, taglia il mondo in due e trasversalmente attraversa emisferi e paralleli sconosciuti.
Giovedì mattina: benvenuti in Nuova Zelanda, vi presento Jane Campion. Titoli di coda, fine del film. Ci si guarda intorno, spauriti, ansiosi, è appena terminato “In The Cut”, difficile da digerire alle prime ore del mattino. Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Susanne Moore, è un vortice ad alta intensità erotica, a tratti invadente, spiacevole, poca suspense, ritmo lento, tanta sensualità.
Meg Ryan, è un insegnante d’inglese, pudica, riservata, l’incontro con un detective conosciuto dopo un interrogatorio le sconvolgerà l’esistenza, inizia una relazione, erotismo allo stato puro, un percorso nei sobborghi dell’esistenza, nei lati più fragili, bui.
Entra  Jane Campion, treccine bionde a cadere su entrambe le spalle, viso delicato, pelle chiara, rassicurante, sguardi materni, e sandali neri come calzari
“In The Cut”  svia l’ immagine reale della regista, in presenza ha poco di femminile, in compenso tanta grazia e talento da vendere. Magia della messinscena.
Nel 1993 è la prima donna a vincere la palma d’oro a CANNES con “Lezioni di piano”, guadagna un Oscar per la stessa sceneggiatura e d’ora in poi è solo cinema, di talento, al femminile, ad occuparle la vita.
Si sofferma sui particolari meno consueti che precedono le prove, entra dentro i suoi personaggi, ne svela fragilità, caratteri, pensieri.
“Gli attori sono vulnerabili, nevrotici” impossibile dirigerli, il ruolo del regista è vincere questa sfida ”Obiettivo, ispirare fiducia, essere dei buoni ascoltatori” il gioco è fatto, questa la ricetta di Jane Campion, calarsi come un terapeuta dentro gli attori , ricavarne la parte sublime.
“Lezioni di piano”, film magistrale ha nel cast un attore tanto bravo quanto iracondo, suscettibile, Harvey Keitel, Campion lo ha calmato, rendendolo se stesso, semplicemente dando carta bianca sul suo personaggio, sulla sceneggiatura, in breve, libertà d’espressione.
L’inventiva, l’originalità di una sceneggiatura perfetta, risiede nella “volontà di lasciare che gli attori si aprano al film lentamente, con tempi e spazi strettamente personali”.
È cosi nasce una delle scene più sensuali, raffinate, sublimi di “Lezioni di piano”: Harvey Keitel sfiora per la prima volta Ada, il tempo, i movimenti, le sensazioni emergono “ li ha scelti proprio lui”, una scelta intima. Unica.
La “leadership” è in mano al regista, a lui spetta il compito di congiungere, promuovere relazioni durature nel set, creare inferenze positive, in “The Cut” si articolano due relazioni parallele, storie contigue di due detective e due sorelle, Jane Campion  invita i “suoi figli a scambiarsi regali, scriversi sensazioni, diventare, in pratica, intimi, il personaggio si fonde in un ‘unica grande personalità, sul set che fuori”.
La lezione è didascalica, di introspezione, non divaga sui contenuti, laconica prosegue la sequenza dei suoi personaggi. Nicole Kidman sua “figlia prediletta”.
In sala si svela un retroscena, anni fa, agli esordi promise ad una bambina poco più che 14enne che l’avrebbe chiamata con sé al primo grande film.
La  bambina cresce, diventa una brava attrice, una donna: Nicole Kidman, la promessa è mantenuta. Si gira “Ritratto di Signora” un successo, poi insieme come produttori, ultimo proprio “In the Cut”.
La sala applaude timidamente.
Il nastro di questa giornata si riavvolge intorno all’una, a tempo finito, rimane il ricordo di essere stati dentro set “virtuali”, a braccetto con quanti da anni hanno solo un nome, un’ immagine fittizia, da copertina, ognuno porta una storia, una fragilità, gli attori, sono in fondo lo specchio del cinema: finti ma reali.   


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