Italia, alle radici dell’antipolitica

Il termine ‘antipolitica’, anche se non è di nuovo conio, è di grande attualità e coincide con la fase decadente della Seconda Repubblica. Che questo fenomeno potesse coincidere con il rifiuto da parte dei cittadini e, segnatamente, dall’elettorato del sistema maggioritario e bipolare non ha mai sfiorato i sostenitori beceri di questa opzione relativa al modello politico di stampo anglosassone ostinatamente imposto a chi è impregnato di cultura ‘altra’ che di anglosassone non ha nulla.

Il bipolarismo è la tomba della fantasia e della creatività politica. E’ la negazione del pluralismo e della partecipazione perché costringe questa ad una scelta asfittica: o di qua o di là. Non offre altre scelte perché queste sono condizionate sia da sbarramenti d’accesso, sia da premi che la politica si attribuisce da se stessa, senza alcun consenso popolare. Non potere dare il proprio consenso a ipotesi politiche che non sono in campo perché estranei a coalizioni preconfezionate prescindendo dalle indicazioni dell’elettorato, ma imposte in nome di un presupposto accordo di governabilità, a prescindere dalla rappresentatività è un modo per limitare la partecipazione e per incentivare l’astensionismo. Ovunque nel mondo vige il bipartitismo o il bipolarismo la partecipazione al voto interessa soltanto un elettore su due, il che dimostra che è questo sistema che alimenta, se non l’antipolitica, almeno il disinteresse a partecipare alle vicenda politiche.

Questi, per sommi capi, le ragioni che allontanano sempre più i cittadini dalla politica. Qui non tratteremo le aberrazioni e gli eccessi del sistema in vigore che contiene tutte contemporaneamente le concause del rifiuto della partecipazione: dallo sbarramento alto all’obbligo delle coalizioni, dall’indicazione del premier alla ‘nomina’ dei parlamentari, fino al premio di maggioranza alla colizione che prende un voto più dell’altra, senza una soglia minima di accreditamento; un coacervo di precetti, insomma, che ingabbiano il voto e privano della possibilità di scelta l’elettore. Faremo delle considerazioni che cercheranno di valorizzare al massimo la partecipazione e la rappresentanza rispetto alla ricerca ossessiva della soluzione per via istituzionale della governabilità. In quanto è l’ossessione della governabilità che porte le forze politiche principali verso l’annebbiamento della visione democratica, talora con la proposta di “legge truffa” tal’ altra con l’appello al “voto utile”, ottenendo in entrambi i casi esiti fallimentari.

Vediamo, per grandi linee, le ragioni di queste ipotesi emblematiche di vicende politiche italiane. Il 18 aprile 1948, alle prime elezioni dell’Italia democratica e repubblicana, la Democrazia Cristiana da sola ottenne la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, avendo conseguito il 49% del voto elettorale. Ciò nonostante Alcide De Gasperi formò un governo di coalizione, allargando ulteriormente la base parlamentare della sua maggioranza. Ebbene, nel quinquennio 1948-1953 si sono susseguiti tre o quattro governi De Gasperi per ragioni extraparlamentari dovuti alla pretesa del Vaticano di ridurre la Repubblica italiana a succursale dello steso Stato Vaticano, auspice il Papa Pio XII, in quanto questi pretendeva che la Dc componesse la giunta capitolina unitamente al Movimento Sociale Italiano. Richiesta, questa, che a De Gasperi non andava giù assolutamente. Da qui le sue dimissioni da presidente del Consiglio dei Ministri ed ad un tempo segretario della Democrazia Cristiana.

Vediamo ora l’evento politico più recente, d’attualità. Alle elezioni politiche del 2008, esattamente sessant’anni dopo quelle prima ricordate, il segretario del Partito Democratico, onorevole Valter Veltroni rivolge all’elettorato italiano l’appello al voto utile a fronteggiare il voto avverso il polo opposto ed evitare la dispersione e la polverizzazione parlamentare. L’esito è davanti a tutti noi. La diaspora si è verificata dando luogo alla frammentazione parlamentare, alla disarticolazione dei due poli, alla privazione del parlamento di alcune voci pur presenti nella società italiana, per concludersi con un papocchio politico dove tutti sono uniti nel sostegno ad un governo inventato a tavolino, che non risponde a nessuno se non agli habitue del Palazzo e che sta massacrando l’economia nazionale in favore delle lobby e degli interessi alti. Tutto ciò con il sostegno di tutte le forze politiche che ci avevano ammoniti con la pretesa che il cittadino con il suo voto determinava la vittoria di uno schieramento e allo stesso tempo eleggeva direttamente il governo.

Qual è la tragedia in tutto questo ambaradan di chiacchiere? La tragedia è che il cittadino e, per esso, l’elettore a queste chiacchere crede ed abbocca. Tranne poi a rigettare con un sol gesto non solo il suo atto politico di protagonista della democrazia, ma nello stesso tempo il rifiuto dell’esercizio della sua funzione di soggetto titolare delle scelte politiche generali. Quante volte abbiamo ascoltato come estrema manifestazione di protesta da parte di chi ha motivi corposi di insoddisfazione dei propri diritti: “Alle prossime elezioni non andremo a votare”, minacciando di privarsi dell’unico diritto che il cittadino ha per determinare il cambiamento dell’indirizzo politico e dei suoi metodi di governo. Questa sì che è una vera idiozia antipolitica.

Foto di Alcide De Gasperi tratta da cinquantallora.com

Foto di prima pagina tratta da centroriformastato.org


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Il termine 'antipolitica', anche se non è di nuovo conio, è di grande attualità e coincide con la fase decadente della seconda repubblica. Che questo fenomeno potesse coincidere con il rifiuto da parte dei cittadini e, segnatamente, dall'elettorato del sistema maggioritario e bipolare non ha mai sfiorato i sostenitori beceri di questa opzione relativa al modello politico di stampo anglosassone ostinatamente imposto a chi è impregnato di cultura ‘altra’ che di anglosassone non ha nulla.

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