Israele-Palestina: la guerra infinita che nessuno vuole far finire

HANNO DATO PERSINO I PREMI NOBEL PER LA PACE AI PROTAGONISTI DI UN CONFLITTO ETERNO. E I COMBATTIMENTI CONTINUANO

Chi è Shimon Peres? La carriera politica di Shimon Perski (questo il suo nome quando nacque a Višneva, un paesino della Bielorussia, Paese che allora apparteneva alla Polonia) è iniziata molto tempo fa: è stato vicepremier dello Stato di Israele, poi primo ministro nei periodi 1984-1986 e 1995-1996 e ministro degli Esteri nel periodo 2001-2002. Poi, nel 2005, ancora vice premier. Fino alla nomina a presidente dello Stato d’Israele dal luglio 2007 fino a pochi giorni fa. Molto tempo è passato. E per tutto questo tempo il suo Paese è sempre stato in guerra. Un guerra cominciata molti decenni prima della sua ascesa e mai cessata.

Come mai? Eppure, nel 1994, a lui, a Yitzhak Rabin e a Yasser Arafat fu assegnato il Premio Nobel per la Pace con la motivazione “per gli sforzi nel processo di pace nel Medio Oriente”.

Solo poche settimane fa, Shimon Peres e il presidente palestinese, Abu Mazen, si erano abbracciati davanti a Papa Bergoglio. Nel mese di giugno i due presidenti si erano presentati uno accanto all’altro quasi amichevolmente davanti al Pontefice. Il Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, allora sottolineò l’importanza dell’incontro: da una parte “il diritto di Israele di esistere e godere di pace e di sicurezza all’interno di confini internazionalmente riconosciuti; e dall’altra il diritto del popolo palestinese, di avere una patria, sovrana e indipendente, il diritto di spostarsi liberamente, il diritto di vivere in dignità”.

Nei giorni scorsi Peres ha rassegnato le proprie dimissioni. Non prima, però, di avere assistito all’ennesima strage di innocenti nella striscia di Gaza: 23 palestinesi uccisi a Jabalya nel bombardamento di una scuola dell’Unrwa (l’ente dell’Onu per i profughi). Non semplici palestinesi: secondo fonti mediche locali, la grande maggioranza delle vittime sarebbero donne e bambini che avevano cercato rifugio in un’aula.

Come mai nessuno si sorprese quando, solo pochi giorni dopo l’incontro così “amichevole” con il Pontefice, gli israeliani cominciarono a bombardare Gaza? Bombardamenti fatti volutamente senza curarsi degli obiettivi che venivano colpiti e delle vittime civili: nel giro di pochi giorni il totale dei morti ha superato quota 1200 dei quali oltre 200 bambini. Una violenza ed una efferatezza sino ad oggi rara anche per questo conflitto.

A niente sono serviti i blandi inviti delle Nazioni Unite e del presidente Usa, Barack Obama, e di (peraltro pochi) Paesi, che hanno chiesto a entrambi i contendenti “un cessate il fuoco senza condizioni”, ma senza poi fare altro. Israele non ha smesso di bombardare obiettivi “non militari” o “strategici” facendo aumentare in modo vergognoso e vertiginoso il numero dei morti (delle oltre mille vittime degli ultimi giorni solo 43 sarebbero stati i soldati israeliani uccisi, gli altri sono tutti palestinesi, spesso civili, molti dei quali donne e bambini).

Israele si è giustificato dicendo che Hamas non ha voluto accettare le condizioni degli Israeliani per la tregua. Condizioni richieste proprio perché non venissero accettate: “I civili di Gaza ai quali è stato chiesto di lasciare le proprie case dovranno astenersi dal farvi ritorno” e per di più “durante la tregua – aggiunge la nota israeliana – le attività operative per localizzare e neutralizzare i tunnel della Striscia di Gaza proseguiranno”.

Israele non smetterà di bombardare Gaza fino a quando non avrà finito i propri missili o le munizioni. Israele non vuole la tregua. Del resto non l’ha mai voluta. La guerra tra Israele e i Paesi confinanti va avanti da decenni e ha causato ormai un numero di morti incalcolabile (si parla di diverse centinaia di migliaia di vittime, molte delle quali civili).

Gli scontri si sono alternati a periodi di tregua (c’è chi li ha calcolati basandosi non solo sulla temporanea sospensione del conflitto più o meno ratificata, ma sui giorni trascorsi senza che nessuno venisse ucciso da ambedue le parti). Ebbene, in base a questa analisi del conflitto è emerso che il 79% di tutte le sospensioni degli scontri sono terminate quando Israele ha ucciso un palestinese, mentre solo l’8% sono state interrotte da un attacco palestinese (il restante 13% dei casi consiste di interruzioni provocate da uccisioni da ambedue le parti nel medesimo giorno).

Un altro dato interessante che emerge dall’analisi del conflitto israelo-palestinese è che i periodi di tregua di durata superiore alla settimana sono stati 25: ebbene, queste tregue sono state interrotte da Israele unilateralmente nel 96% dei casi (percentuale che cresce al 100% per le tregue superiori ai 9 giorni, che sono stati 14). E questo vale anche per l’ultima sospensione dei bombardamenti su Gaza. Non si sa chi ha cominciato questa guerra, ma una cosa è certa: stando ai numeri, Israele non vuole che la guerra finisca.

Nessuno sa se e quando finirà questa guerra. La stragrande maggioranza degli israeliani e dei palestinesi nemmeno sa cosa significhi vivere in pace: sono nati quando il loro Paese era già in guerra da molti anni e la guerra ha caratterizzato, nel bene e nel male, tutta la loro vita (non è un caso se in un recente sondaggio in Israele oltre l’80% degli intervistati ha votato a favore delle azioni condotte a Gaza).

Il tentativo di “falciare l’erba” dell’organizzazione terroristica (come definita da fonti israeliane) che secondo gli israeliani comanda a Gaza, e che giustificherebbe l’azione su Gaza, non porterà né alla pace, né alla distruzione di Hamas, né renderà Israele uno Stato più sicuro. Già nel 2008-2009 Israele aveva scatenato un’azione di sterminio feroce sulla striscia di Gaza. E poi ancora nel 2012, ma sempre senza ottenere i risultati voluti (che sono ormai ben noti e che non hanno niente a che vedere con la lotta al terrorismo: si tratta infatti di un mero controllo delle risorse economiche del territorio).

Forse, a ben vedere, è proprio questo il punto: non pare possano esistere dubbi su quali siano in realtà i veri motivi che Israele intende raggiungere. Né possono esistere incertezze (i dati storici lo confermano al di là di ogni ragionevole dubbio) sul fatto che a volere questa guerra sono più gli Israeliani che i palestinesi.

L’unica cosa che dovrebbe sorprendere è l’indifferenza di tutti i Paesi del mondo ai massacri che continuano ad essere perpetrati. Forse perché soggiogati dalla volontà e dagli interessi economici di pochi Stati, tutti gli organismi internazionali, nessuno escluso, sono stati incapaci di fermare questa strage che va avanti ormai da molti decenni.

Non ci sono riuscite le Nazioni Unite, non ci sono riusciti quei Paesi, come gli USA o i Paesi Europei, che pure, in altri casi, si sono levati (falsamente) a paladini dei diritti umani e della “pace nel mondo”, non ci sono riusciti enti come il Comitato per il Nobel per la Pace (che hanno conferito un premio tra i più onorevoli al mondo agli autori di stragi e massacri), non c’è riuscito il Papa i cui inviti sono rimasti inascoltati, non c’è riuscito il patriarca Bartolomeo, non ci sono riusciti i capi di tutte le religioni del mondo.

L’unica cosa che è emersa scorrendo i numeri che caratterizzano questa guerra, e ben oltre ogni ragionevole dubbio, è che esiste, a livello globale, una sorta di consenso generale. La verità è che, al di là delle affermazioni di routine e delle condanne sui media, sono molti i Paesi a cui fa comodo che le stragi tra israeliani e palestinesi continuino. E se così è, e non potrebbe essere diversamente, questi Paesi, nessuno escluso, hanno sulla propria coscienza il sangue degli innocenti che sono stati assassinati e che continuano ad essere assassinati a Gaza.

 

 


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