Un episodio emerso durante le indagini dell'operazione Cupola 2.0 racconta la presenza di Cosa nostra all'interno dell'impianto cittadino: «Perciò si doveva combinare questa situazione ma invece di arrivare primo arrivò terzo…Se vinceva i soldi erano altissimi»
Ippodromo, le mani della mafia e le corse combinate «Era un cavallo morto, se vinceva saliva alle stelle»
«Era un cavallo cosiddetto un morto che camminava, cioè un cavallo che non aveva nessun successo e vincendo… saliva alle stelle». Sembra un fatto quasi scontato, per gli affiliati, che all’ippodromo di Palermo le «corse sono combinate per vincere i soldi». Èd è proprio quanto lascierebbe intendere Domenico Mammi – ritenuto dagli inquirenti braccio destro dell’ultimo reggente del mandamento di Resuttana Sergio Macaluso – interrogato dai magistrati sul ruolo di alcuni esponenti della famiglia mafiosa di Ballarò, nel corso delle indagini che hanno dato il via all’operazione Cupola 2.0, che ha decapitato ieri i vertici dei mandamenti del Palermitano.
La presenza della mafia all’interno dell’ippodromo cittadino è ormai un fatto assodato per i magistrati: non a caso, la struttura è stata chiusa dopo un lungo iter giudiziario concluso solo nel dicembre scorso, quando il prefetto di Palermo Antonella De Miro ha fatto scattare un’interdittiva antimafia per la Ires spa, la società di gestione, a causa di «un sistema di condizionamenti e di infiltrazioni mafiose», come emerso in più processi, poiché era «governato dalla famiglia Madonia a capo del mandamento San Lorenzo Resuttana». Provvedimenti giudiziari, infatti, hanno accertato la «gestione illecita delle scommesse e attività estorsive». Pochi dopo, anche il ministero delle Politiche agricole ha dichiarato decaduta la convenzione con la società, sfrattando definitivamente la società e chiudendo la struttura in attesa di un nuovo bando per la gestione della struttura da parte del Comune.
I fatti rivelati da Mammi si riferiscono ad appena tre anni fa e fotografano un episodio molto preciso, una corsa di cavalli che si è tenuta nel dicembre 2015. Il meccanismo è semplice: puntare su un cavallo dato per perdente così da garantire lauti guadagni in caso di vittoria, in teoria assicurata dal controllo delle corse. «Ci andarono due che avevano giocato dei soldi… e poi questo cavallo non arrivò perché ci sono stati dei problemi interni tra di loro», ricostruisce Mammi che, incalzato dal magistrato, spiega che la corsa «era stata combinata», una cosa apparentemente risaputa nel mandamento: «L’ippodromo apparteneva a Resuttana loro ne erano al corrente di tutta… di tutta la situazione… infatti andarono a vedere la corsa».
Ma qualcosa, quella volta, non andò per il verso giusto. «Perciò si doveva combinare questa situazione – aggiunge ancora Mammi – ma invece di arrivare primo arrivò terzo…Se vinceva i soldi erano altissimi.. e invece arrivò terzo mi sembra, ora non ricordo bene, e si persero tutti i soldi..».