«Io, innamorata della Timpa di Acireale» Lettera in difesa di «un pianeta sconosciuto»

Mi chiamo Chiara Pulvirenti e sono nata ad Acireale nel 1984. Per me scendere dalle Chiazzette è sempre stato il rito delle mattine d’estate, insieme alla granita dalla signorina e il bagno alla cascata del Mulino. Il mio posto preferito in assoluto è la Pietra Sarpa, un luogo reso affascinante dalla presenza di un grande faraglione, sotto cui si dice si nasconda una truvatura, e una serie di isolette rocciose su cui le onde si infrangono. Per arrivarci siete costretti a saltellare tra uno scoglio e l’altro, un gioco divertente di attenzione e agilità, ma una volta arrivati al mare nessuno potrà vedervi poichè sarete completamente circondati da mare e roccia.

Così, mentre la maggior parte degli acesi si stringe sulle tavole di legno o sulle cocole del Mulino, sforzandosi di credere di trovarsi su una spiaggia, io ho sempre preferito quella baietta di scogli di pietra lavica, circondati dalla bellezza selvaggia delle colate dell’Etna: guardando il mare, sulla destra sporge una lingua di lava, pietrificatasi all’atto del suo congiungimento con il mare, che crea addirittura un piccolo ingrottamento; di fronte, in mezzo all’acqua, si ergono due isolotti neri e puntuti, collegati tra loro da altre rocce più basse, che formano piscinette e lagune; a sinistra domina la Pietra Sarpa, sormontata da una torretta militare che si fonde con il corpo slanciato e imponente del faraglione. Vi si accede da terra e si può scalare facilmente tramite una serie di gradini scolpiti nella pietra.

Peccato sia sempre disseminata dei resti lasciati da pescatori con poco senso civico, o da adolescenti in cerca di nascondigli, ma fino ad oggi la Pietra Sarpa conserva comunque un fascino unico, facendo da avamposto umano e naturale verso un mare dal colore intenso, e straripante di vita. Partendo dalla Pietra Sarpa, poi, ho sempre fatto lunghe nuotate per raggiungere la baietta che si trova alle sue spalle. Lì un tempo sorgeva lo scoglio del Pugno e ancora oggi appare in tutto il suo splendore la Grotta delle Palombe, una formazione impropriamente detta grotta che si apre sulla parete della Timpa, sfoggiando sotto i raggi del sole la geometria delle sue colonne basaltiche a strapiombo sull’acqua, come un’architettura gotica che domina il mare. 

Peccato che, proprio accanto a tale bellezza rara, qualcuno abbia pensato bene di costruire una piattaforma di cemento, collegata al campeggio sovrastante tramite un ascensore scavato nella roccia, con un effetto contrasto a dir poco sconcertante. Ma il bello deve ancora arrivare. Dovete fare uno sforzo ancora e nuotare un po’ più a lungo, ma, dopo qualche bracciata, la stanchezza sarà ripagata dall’emozione di mettere piede su un pianeta sconosciuto.

Dovete portarvi le scarpe se non volete bruciarvi i piedi, perché la superficie di questo pianeta è nera e assolata. Ma ciò che vi riempirà di meraviglia e vi farà sgranare gli occhi sarà rendervi conto che non si tratta di scogli, né di roccia ordinaria, bensì di una distesa di colonne prismatiche dalla perfetta sezione esagonale che si sollevano dal basso verso l’alto, mozzate di netto a diverse altezze. Qui sì che sarete costretti a saltellare! Uno più alto, l’altro più basso, questi tronchi di colonnato basaltico ricoprono un grande spazio, convertendolo in un nero gioiello prezioso, dalle proporzioni ciclopiche e la geometria perfetta.

Peccato che poco più in là, su questa distesa di colonne, sorga una costruzione in cemento e mattoni forati, abbandonata e priva di scopo.

É la terza volta in questa lettera che uso la parola “peccato”, inevitabile espressione di amarezza quando si parla della Timpa, un’area di straordinaria bellezza trasformata in Riserva Naturale solo dopo che l’azione umana ne avesse già manomesso l’aspetto originario. Ma quello che mi preoccupa più di tutto non sono le scatolette di polistirolo abbandonate dai pescatori, né i mozziconi di sigaretta, la gettata di cemento, o l’edificio abbandonato. Non sono arrabbiata per la presenza di un eco-mostro dalla cubatura immensa, lasciato lì nel bel mezzo della Timpa, quasi fosse oramai parte integrante del paesaggio, né per la costruzione di un parcheggio dalla forma assurda proprio davanti al Mulino, e neanche per l’installazione di un groviglio di tubature e di rumorose pompe idrauliche proprio all’ingresso della “spiaggetta”. Ciò che mi mette più sconforto e amarezza è pensare che, lungo il tratto di costa tra Santa Maria la Scala e Santa Tecla, c’è uno scrigno di meraviglie che conserva ancora intatta la sua bellezza e quasi nessuno di voi lo conosce o lo ha mai visto, e soprattutto, quasi nessuno di voi si accorgerebbe della sua devastazione, nel momento in cui una barriera di pietrame di cemento fosse gettata impietosamente ai suoi piedi.

Sarebbe solamente l’ennesimo sopruso perpetrato contro la Timpa di Acireale, in barba ogni senso estetico e morale.

L’amministrazione acese (la vecchia o la nuova, poco importa…), dopo aver impiantato una rete d’acciaio in zona Santa Caterina, con lo scopo dichiarato di trattenere l’erosione della parete e l’effetto concreto di aver distrutto la vegetazione spontanea preesistente, accelerando così di decine d’anni la disgregazione del terreno e il distacco della roccia, è di nuovo pronta all’attacco su un altro fianco della RiservaCome in un bombardamento, senza risparmio di colpi.

Lo scopo, stavolta, non è più contrastare l’erosione della costa, ma semplicemente evitare le sanzioni dell’Unione Europea, come oramai candidamente ammesso dal sindaco Barbagallo. Come dire: fatto trenta, facciamo trentuno, altrimenti toccerà a me restituire ciò che i miei predecessori hanno ottenuto e speso (o finto di spendere…) presentando progetti farneticanti. Tanto, nessuno se ne accorgerà.


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