È cominciata da qualche settimana ed è ben lungi dal finire. La storia di InvestiaCatania, la società partecipata in liquidazione che perde oltre 700mila euro (al 31 dicembre 2017, quindi il rosso sul conto è destinato ad aumentare), minaccia di tenere banco ancora a lungo. Soprattutto considerando i botta e risposta – alcuni pubblici, altri privati – tra l’attuale amministrazione comunale e la vecchia gestione liquidatrice. Da una parte l’assessore al Bilancio e vicesindaco Roberto Bonaccorsi, dall’altra Francesco Marano, braccio destro dell’ex primo cittadino Enzo Bianco, vicesegretario regionale del Partito democratico e al centro di una gestione accusata di essere nebulosa. In mezzo ci sono non solo i conti: le perdite che aumentano di anno in anno sì, ma anche le indagini della magistratura sulle società a cui sono stati erogati i fondi e quelle – che con l’attività di InvestiaCatania non hanno nulla a che vedere – che coinvolgono il lavoro del presidente del collegio sindacale, Fabio Saccuzzo.
È il 2003 quando InvestiaCatania nasce con l’obiettivo di drenare fondi ministeriali e ridistribuirli sul territorio alle imprese meritevoli. Una società per azioni, partecipata per la maggior parte dal Comune di Catania, oltre che da Asec, Asec trade, Multiservizi e Sostare. È tramite InvestiaCatania che, nel 2011, l’Amt riesce a recuperare le somme necessarie per sistemare il centro direzionale di Pantano d’Arci: all’epoca le spese previste sono di oltre otto milioni di euro, secondo un cronoprogramma che prevede la conclusione dei lavori, con il collaudo, ad aprile 2014. A firmare quel documento sono l’allora sindaco Raffaele Stancanelli e l’ingegnere Roberto Sanfilippo, nella duplice veste di presidente di InvestiaCatania e Amt.
Gli anni passano e, a decorrere dall’1 gennaio 2012, InvestiaCatania viene messa in liquidazione. Sarebbe dovuta rimanere attiva, cioè, solo per chiudere gli affari già in atto: recuperare i crediti, pagare i debiti, chiudere le procedure coi finanziamenti in corso. Con un capitale sociale di 152mila euro e nessun dipendente, InvestiaCatania smette di registrare proventi nel 2013 e inizia ad accumulare perdite che, nell’esercizio 2015, schizzano a quasi 387mila euro. Superando, quindi, le somme versate dai soci. A questo punto, di norma, il liquidatore convoca l’assemblea dei soci, espone il problema e propone le soluzioni: i soci versano altri soldi, si fa un accordo coi creditori, oppure si tenta la strada del concordato preventivo. L’ultima opzione è la dichiarazione di fallimento della società. A InvestiaCatania, però, non succede niente del genere. E dal 2014, anno in cui viene nominato liquidatore, Francesco Marano continua a firmare i bilanci che vengono approvati sia dal collegio dei sindaci sia dal revisore legale. A rivestire quest’ultimo ruolo è Agatino Lipara, esperto revisore dei conti e vecchia conoscenza dell’amministrazione pubblica: ex dipendente di vari uffici di Palazzo degli elefanti, revisore per la Multiservizi, presidente del collegio di revisione del vecchio ente gestore del Cara di Mineo, l’Unione dei Comuni Calatino terra d’accoglienza.
Negli anni, come se non bastassero le vicende contabili di InvestiaCatania, a complicare la situazione ci sono anche le inchieste della magistratura. Così, da sette informative della guardia di finanza, emergono anche presunte irregolarità compiute da alcune delle aziende che hanno ricevuto fondi dalla partecipata comunale e sulle quali è lo stesso ministero del Lavoro e delle politiche sociali, a novembre 2014, a chiedere chiarimenti. Fatti che, nel 2016, si trasformano in una richiesta di rinvio a giudizio – accolta – e in un processo in corso nei confronti di alcuni degli amministratori delle imprese finanziate. Solo a dicembre di un anno dopo, siamo così al 2017, viene conferito un incarico allo studio legale Libertini & associati affinché fornisca un parere legale su come, in questa circostanza, dovrebbe comportarsi la società. Sono proprio gli avvocati ingaggiati da InvestiaCatania a scrivere, a maggio 2018, che eventuali responsabilità interne non stanno tanto nell’erogazione dei fondi quanto nel controllo – o nel mancato controllo – su come questi fondi siano stati utilizzati.
Appena un mese dopo, a giugno 2018, l’ennesima tegola si abbatte sulla società: Fabio Saccuzzo, presidente del collegio sindacale, finisce coinvolto nell’inchiesta Tir camaleonte della guardia di finanza di Catania. Il commercialista 40enne, secondo le forze dell’ordine, avrebbe aiutato i fratelli Reitano della Reitrans trasporti a schermare il reale patrimonio del gruppo. A cui, in una prima battuta, vengono sequestrati dieci milioni di euro. È in questo contesto che viene convocata la nuova assemblea ordinaria di InvestiaCatania spa: fissata prima per il 31 agosto 2018 e poi per il 10 settembre, la riunione va deserta. All’ordine del giorno c’è l’approvazione del bilancio di esercizio al 31 dicembre 2017. Documento che ancora non è stato approvato. Soprattutto in virtù di quel buco nero da 700mila euro. Tutte «spese necessarie», dice Francesco Marano in una nota inviata alla stampa. Aggiungendo che nei prossimi giorni spiegherà tutto, formalmente, al Comune di Catania. Visto che, secondo lui, «ci sono i margini per ripianare questa passività». Come detto all’inizio: la storia continua.
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