Intervista al Professor Catalfo

Professor Catalfo, a primo impatto come le è sembrata la facoltà di lingue di Ragusa?

La prima impressione è quella di un posto affascinante. Una splendida oasi nella quale costruire nuovi percorsi ed esperienze culturali.

  

Quanto ritiene importante l’istituzione di questo corso per una facoltà di lingue?

Credo sia una grande idea. La ricchezza della conoscenza e delle competenze culturali della Facoltà di lingue sono un bene prezioso che va veicolato nella società con cura e capacità d’innovazione e quindi una ricchezza da caratterizzare peculiarmente. Credo che la facoltà di lingue abbia fatto un notevole sforzo di creatività che va nella direzione di un disegno culturale potenzialmente capace di attivare sviluppo e promozione sociale secondo modelli non banali.

Qual è l’importanza della figura dell’export manager?

La nostra società, le aziende, e conseguentemente i nostri mercati non vivono più all’interno di confini connotabili solo geograficamente, ma crescono nelle logiche di contaminazioni culturali di diversità, di peculiarità e di integrazione;  quindi leggendo l’evoluzione economica come segno della evoluzione sociale, i mercati cambiano modello di definizione e lo sviluppo si realizza correlando le prospettive di crescita delle singole aziende alle dimensioni e alla fisionomia reale dei mercati. La dimensione del  mercato per le imprese deve diventare il mondo. L’export manager è in azienda una figura centrale per la realizzazione di questi percorsi di sviluppo; è un soggetto abituato a comprendere le peculiarità culturali, a conoscere, rispettare e valorizzare le diversità e  quindi capace di     proporre soluzioni di intervento nei mercati, cogliendo rapidamente la dimensione delle opportunità.

 

Quali pensa possano essere i comportamenti delle aziende nei confronti dell’export manager?
Non basta che l’azienda si doti di un export manager perché avvenga il “miracolo” della internazionalizzazione. Le aziende devono evolversi culturalmente, praticare con pragmatismo le regole della buona gestione controllando il loro sistema di equilibri nella prospettiva dello sviluppo, investire in ricerca proporzionalmente alla loro dimensione aziendale ed esercitare una maggiore sensibilità nei processi di programmazione e controllo. In questa cornice l’apporto di un soggetto che si dedichi interamente o ad “interim” all’attività di export management diventa una risorsa, un driver di sviluppo efficace.  

 

Pensa che le aziende del ragusano,e non solo, avranno una maggiore apertura nei confronti di questa figura?

La mia esperienza e la conoscenza del tessuto imprenditoriale mi portano a credere che già adesso esiste una nicchia nella quale imprese rivolte alla realizzazione di percorsi di sviluppo sono realmente interessate all’attivazione di funzioni di export management compatibili con la loro specifica dimensione aziendale. Se questa attenzione allo sviluppo internazionale delle prospettive aziendali si affermerà l’interesse per questa figura crescerà rapidamente.   

Quali sono le prospettive economiche per le aziende locali con l’apertura dell’area di libero scambio nel 2010? Pensa che con l’apertura dell’area di libero scambio la Sicilia possa avere un ruolo da protagonista?

 

Francamente penso che tutte le iniziative di specificazione di mercati o di aree di mercato siano, modelli strumentali, contenitori che poi devono essere riempiti di attività con l’impegno e l’interesse diffuso di tutta la società. La storia economica della Sicilia è lastricata da grandi occasioni perse per evidenti deficit culturali e di sviluppo, perse per una non adeguata evoluzione sociale o per errori strategici dei quali oggi cominciamo a pagare i costi. Certo l’area di libero scambio può essere una grande occasione, ma se non siamo pronti, se non rinnoviamo la nostra capacità di cogliere le opportunità, anche l’area di libero scambio non servirà a molto. Operazioni istituzionali di questa portata necessitano di adeguate capacità reattive del sistema sociale e del sistema imprese correlate all’esistenza di requisiti strutturali e strumentali. Guardando alla nostra realtà, dobbiamo tenere in considerazione che la dimensione media delle imprese a capitale siciliano è piuttosto bassa e che il management, generalmente, ha una concezione della gestione piuttosto arretrata e poco orientata alla crescita dimensionale. Quindi sarà necessario un eccezionale sforzo di contatto e di sviluppo  delle capacità ma anche una proattività più decisa delle imprese siciliane. In caso contrario, la centralità geografica della Sicilia non sarà garanzia di sviluppo, considerato che la creazione dell’area di libero scambio non è stata pensata  per la costituzione di rendite di posizione. Così ad esempio l’impegno dell’ Associazione industriali di Ragusa, in favore della diffusione della cultura manageriale e del valore dell’internazionalizzazione, mi sembra rivolto nella giusta direzione.

Professor Catalfo: ci dia un’idea dell’attuale  situazione economica dell’Italia…

La situazione del Paese è ancora quella di una nazione a più velocità con aree molto competitive che hanno gia saputo cogliere anche le crescenti opportunità nate in estremo oriente ed in India e comunque in ambito internazionale, ed ambienti molto depressi, in cui l’ambiente economico si deteriora e si marginalizza sempre di più. Francamente, sono convinto che le ragioni della diminuita competitività complessiva del sistema Italia non siano legate in modo primario a questioni strutturali ma ad un generale e costante decadimento culturale e sociale. Manca la giusta tensione, un set di valori di riferimento, la coesione sociale e spesso anche il senso della legalità; manca il giusto modello di valorizzazione della competizione e del merito, l’attenzione e la sensibilità per le questioni strategiche ed una classe politica capace di interpretare con spirito di servizio e senza populismo e demagogia i problemi reali. La crisi economica e l’arretratezza del mezzogiorno d’Italia sono una precisa dimensione delle conseguenze di questo stato di cose. I margini di recupero di questa situazione però esistono e dipendono dal grado di realizzazione degli investimenti in conoscenza che la nostra società riesce a raggiungere.

Ci dia anche un suo pensiero sulla finanziaria…

La costruzione della legge finanziaria è sempre un’operazione complessa. Credo che quella attualmente in discussione sia il risultato di un articolatissimo e delicato processo di mediazione fra una multilateralità d’interessi senza precedenti. E’ certamente una finanziaria di rigore che agisce poco sui meccanismi di sviluppo e che dovrà essere valutata con attenzione a cose fatte, quando cioè sarà definitivamente approvata. L’interesse principale è quello al contenimento e alla riduzione del volume del debito pubblico. Da una prima lettura del suo impianto generale è chiaramente rilevabile, da un lato, l’intenzione di favorire la redistribuzione della ricchezza prodotta, e dall’altro, l’interesse a dare responsabilità ai localismi gestionali, sia sul versante della spesa come su quello del prelievo, nella direzione del rispetto degli impegni che ci siamo assunti con l’Unione Europea. E’ certamente una finanziaria insufficiente per risolvere la complessità e l’articolazione dei problemi del Paese. Pochi investimenti per il rinnovamento della pubblica amministrazione, scarse risorse per la ricerca pubblica (teniamo conto che in Italia i privati praticamente in questo senso non investono o investono pochissimo), poca attenzione all’Università, all’istruzione, ai problemi strutturali della giustizia e via dicendo. Ma la situazione di partenza è quella che è! Conseguentemente, pretestuosi scontri politici sulla impopolarità della finanziaria a parte, ritengo decisamente prematuro esprimere un giudizio tecnico sui suoi  potenziali effetti.


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