Intervista ad Angelo D’arrigo

All’arrivo di Angelo D’Arrigo a Catania, con la moglie e i figli Ivan e Gabriele, c’erano molte persone ad attenderlo. Noi lo abbiamo avvicinato per fargli qualche domanda,
al ritorno della spedizione “Aconcagua Xp 2005“ – impresa nella quale ha fissato importanti traguardi scientifici – e sulle prossime imprese che lo vedranno protagonista. 

A chi dedichi questo successo? 
A tutti i pionieri italiani e a tutti gli avventurieri italiani che hanno dimostrato che la nostra italianità riesce ancora a disegnare degli obiettivi  ma anche futuri. Senz’altro essere pioniere è una grande soddisfazione, ma essere un pioniere che rimane in vita è ancora più importante.

Come è stata progettata l’alta del deltaplano?
“L’ala del deltaplano – ci piega d’Arrigo – è il frutto di una analisi aerodinamica dell’ala biologica del condor che vengono interpretati in ala tecnologica. Facendo uso dei migliori materiali di cui la scienza oggi può disporre, esattamente come quelli usati sullo Shattle, per riuscire a imitare in qualche modo quello che la natura ha fatto evolvere in migliaia di anni e questo è un grande traguardo”. 

La tecnica di respirazione che hai messo a punto nel centro di Pratica di mare l’hai utilizzata?
Ho messo a punto con i medici del centro di medicina aerospaziale una respirazione antica, derivata da una tecnica di yoga, questa respirazione si chiama pranayama, la praticano tante persone che hanno yoga, ma soprattutto anche i cantanti di lirica.
Non è altro che una tecnica che fa uso del diaframma, il quale che permette di comprimere l’aria nei polmoni e di avere uno scambio, ottimizzando lo scambio di ossigeno che passa attraverso gli alveoli, nel sangue.
Questa è stata il tipo di respirazione che io avevo come bonus, nel senso che, puoi immaginare che a 9000 metri senza ossigeno il tempo di permanenza è di un minuto, dopo il quale avviene una morte cerebrale.
Quindi l’obiettivo di questa respirazione è di avere il secondo sistema in caso di avaria della maschera, cosa che poteva capitare in qualsiasi momento, questa respirazione permetteva di triplicare il tempo di resistenza, da un minuto a tre minuti, nei quali avrei avuto il tempo di andare in picchiata dal 9000 metri fino ai 7000 metri, dove si comincia a respirare e di avere uno scambio di ossigeno per il cervello.

Tu sei il “padre naturale” dei due condor che hanno visto te come primo essere quando le uova si sono schiuse. Seguendo la tecnica dell’imprinting, ereditata dall’etologo Konrad Lorenz, li hai potuti seguire nella loro crescita come avrebbe fatto il condor padre, li hai fatti abituare a stare sotto l’ala del tuo deltaplano e hai fatto dei voli con loro. Il tuo progetto, che ancora è in corso, si chiama “On the wings on condor” quando si concluderà?
Nel mese di maggio torneremo in Perù, dove rilasceremo la coppia di condor, Inca e Maya,  esattamente nella valle dell’Urubamba, nel Machu Pichi, dove sono estinti da circa 20 anni. Così, insieme all’etologo Danilo Mainardi concluderemo l’ultima fase del progetto “On the wings of condor”. 
Durante la mia assenza i due condor sono stati sotto la protezione di una grande voliera, seguiti da una equipe di veterinari, capitanati da Antonello Mancuso, veterinario di Catania, che sta seguendo l’operazione da un punto di vista medico.
Il volo sull’Aconcagua è stato un test dell’ala che sta insegnando a volare a questi due condor, Inca e Maya. E’ stato la dimostrazione che la tecnologia è riuscita ad arrivare alle quote a cui arrivano questi rapaci, che sono tra quelli che volano più in alto nel mondo, volando a 10000 metri. Io ho fatto 9100 metri.

Cosa pensi delle  persone che hanno paura di volare?  
Nel mondo della paura di sono due tipi di paura . Ci sono quelle oggettive e quelle soggettive, e queste ultime sono quelle che l’essere umani si inventa per alibi.
Se tu pensi di avere questa paura tienitela, ma secondo me è un alibi che non a altro che toglierti la possibilità di vivere il senso di libertà che ti dà il volo quando lo vivi bene, due poterti spostare in fretta , tre credo che ogni essere umano ha degli spazio nei quali può e deve imparare a viverci all’interno. Secondo me è quello del volo.

In questa spedizione ha portato con te i tuoi figli, ma normalmente li lasci a casa. Facendo questa tua attività sottrai del tempo alla famiglia. Cosa pensano di te i tuoi figli?
Il tempo che io rubo alla loro crescita, cerco di compensarlo con una presenza maggiore quando sono qui, dedicando quanto più tempo possibile a loro, che non è mai abbastanza e cerco sempre, quando rientro dalle mie avventure, l’avventura umana in giro per il mondo. Io cerco di condividere con loro il rapporto umano che ho vissuto in giro per il mondo. I miei figli hanno un papà , che prima di essere un papà è un educatore. La mia presenza nei loro confronti è quella di essere l’educatore: non so se riuscirò in questa missione, di educarli nel modo migliore”.

Se un giorno i tuoi figli volessero seguire le tue orme, cosa consiglieresti loro?
Se un giorno mi chiedessero di seguire la mia scia, li asseconderei in tutto e per tutto e di agevolarli nella loro missione. Credo chela presenza dei genitori debba essere sempre misurata. Tante volte pecchiamo di essere eccessivamente presenti, diventando quasi soffocanti. Educatore, linea guida per i miei figli, ma mai imporre una mia volontà a loro”.

Prossimo progetto?
Stiamo già lavorando sul prossimo progetto che sarà nel sesto continente, il tentativo di sorvolare la vetta più alta dell’Antartide, in condizioni assolutamente estreme. Nella prossima impresa utilizzeremo l’energia naturale del sole, per allargare anche lì la ricerca dell’energia solare. Una meta ancora non conosciuta dall’essere umano. Poi non so se sarò capace di farlo. Il mio obiettivo è di riuscirci.

Melania Mertoli

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