C'è chi prepara le forme, chi i piatti da asporto, chi cura le relazioni con clienti e fornitori. È merito della cooperativa Controluce che ha avviato un progetto «per favorire l'autonomia lavorativa degli utenti», spiega la responsabile a MeridioNews. Guarda le foto
InSemola, la pasta fresca prodotta dai disabili psichici Tutor: «Questa esperienza sta cambiando le loro vite»
Riscatto sociale, lavoro di squadra e amore per la tradizione. Sono questi gli ingredienti essenziali di InSemola, il primo pastificio etico artigianale che mira all’inserimento lavorativo di disabili psichici che si trova a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta. Una scommessa, lanciata dalla cooperativa Controluce, che dà la possibilità a quindici giovani socialmente vulnerabili, dai 18 ai 40 anni, di apprendere un mestiere e di potenziare le relazioni sociali, riscoprendo il piacere di stare ‘nzemmula. Il nome del pastificio, infatti, non allude soltanto alla semola ma soprattutto al termine che in dialetto siciliano si usa per dire «stare insieme».
«Dall’esperienza dei gruppi appartamento pensati per la riabilitazione sociale di persone con problemi psichici – spiega a MeridioNews la psicologa Marta Cortese che è la responsabile del progetto – ci siamo attivati per dare vita a un’iniziativa volta a favorire l’autonomia lavorativa dei nostri utenti perché crediamo con forza nel loro inserimento nella società». È con questo entusiasmo e con un pizzico di temerarietà che nasce il pastificio InSemola, sorto dal progetto Mani in Pasta e realizzato con il sostegno di Fondazione Con il Sud e la sinergia tra tutti i partner coinvolti: dal Comune di San Cataldo al dipartimento di salute mentale di Caltanissetta, dal distretto dociosanitario D11, a MoVi, passando anche per l’associazione Trecentosessantagradi e Slow Food Enna.
I quindici ragazzi, a turni di cinque, partecipano con entusiasmo a tutto il processo produttivo. Nel piccolo laboratorio artigianale, non esistono disagi né barriere ma tanta solidarietà e altrettanta voglia di imparare. C’è chi prepara la pasta, chi i piatti da asporto, chi cura i rapporti con la clientela e i fornitori. Un percorso virtuoso che i futuri pastai costruiscono, giorno dopo giorno, insieme ai due tutor-chef Lucia La Fisca e Ivan Giordano e con il supporto delle psicologhe Alessandra Campanella e Claudia Giammusso.
Linguine, manichette, cavati, lasagne, paccheri, caserecce, spaghetti, pappardelle, cannelloni, capellini. Sono alcune delle varietà di pasta fresca prodotte e acquistabili all’interno del pastificio. A queste tipologie, si aggiungono alcune novità recuperate dalla tradizione: nascono così i ravioli di gamberoni e merluzzo aromatizzati con arancia e barbabietola, quelli con salsiccia e funghi racchiusi da una morbida sfoglia di cacao, e anche quelli con spinaci e scamorza. «Le semole di grani antichi (Simeto, Anco Marzio, Duilio, Iride, Tumminia), le materie prime locali, l’asciugatura lenta, la giusta temperatura, la scelta dei condimenti sono – ammette Cortese – il segreto per una pasta di qualità che piace a grandi e piccini».
La scommessa più grande resta quella di affermarsi sul territorio come esempio di buona prassi. Tra le finalità del progetto, c’è anche quello di «creare vaste reti locali per indirizzare i beneficiari verso una graduale integrazione lavorativa a conclusione del percorso». Per la referente, una delle sfide più difficili, però, è già stata in parte vinta. «L’esperienza nel pastificio sta cambiando la qualità delle loro vite. L’importanza dell’autonomia lavorativa, la possibilità di mettersi alla prova e di imparare un mestiere, li aiuta a confrontarsi con la società e a superare le loro paure. Allo stesso tempo – conclude Cortese – chi entra in contatto con loro, sperimenta una nuova consapevolezza».