«Nell’immaginario collettivo, tutti pensano subito che l’influencer siano soltanto Chiara Ferragni o Gianluca Vacchi, ma non è così: ci sono delle creator economy, persone che fanno comunicazione non soltanto con contenuti sul quotidiano, ma impegnate anche nel mondo della divulgazione. Non tutti hanno chissà quali budget. Queste categorie vanno trattate con rispetto e e tutelate». Jacopo Ierussi è un avvocato giuslavorista e fondatore dell’associazione Assoinfluencer, che si pone l’obiettivo di portare avanti le istanze degli influencer. Al momento in Italia sono circa 350mila le persone che creano e condividono contenuti online per un proprio pubblico di seguaci, per una fanbase più o meno grande di utenti, su svariate piattaforme: influenzando mode, tendenze e che svelano il loro quotidiano. Non manca anche chi fa informazione. Un’ampia categoria di persone che, come dice Ierussi ai microfoni di FantaMagazine su Radio Fantastica «che offre un’opportunità lavorativa ai giovani, permettendogli di restare nel loro territorio. Pertanto è un mercato che non può essere danneggiato».
Da questo nasce Assoinfluencer, la prima associazione di categoria – inserita dal ministero dello Sviluppo economico nell’elenco delle associazioni professionali – che adesso prova a definire e regolamentare l’offerta lavorativa del settore. «Assoinfluencer è nata inizialmente come intuizione per un progetto di carattere accademico dove bisognava coniugare relazioni industriali e professioni emergenti – spiega Ierussi, che si occupa di diritto del lavoro – Quella dell’influencer è una professione vera e propria. Sul diritto del lavoro, il legislatore in Italia ha fatto un ottimo lavoro, ma ancora fa fatica a stare dietro ai fenomeni legati alla tecnologia». Uno dei primi passi è parlare di uno specifico codice Ateco -codice che l’agenzia dell’Entrate abbina alle professionalità e le identifica che definisca la categoria. «Al momento si va per analogie – prosegue – e questo può creare confusione». Un terreno complesso anche per i grandi nomi che vi gravitano. «Nel momento in cui si entra nel mercato tutti sono aggredibili, anche se si chiamano Gianluca Vacchi o Chiara Ferragni – aggiunge Jerussi – per questo chiediamo che si stabilisca un tariffario. Proseguendo su questa linea, si rischia di innescare delle cattive pratiche che portano il mercato a ribasso, una cosa a cui abbiamo assistito diverse volte nell’ambito del lavoro autonomo». Un settore quindi che non deve essere ignorato dal legislatore. «Il nostro ordinamento giuridico disciplina tutte la quasi totalità delle fattispecie lavorative – conclude Jerussi – In questo caso si devono dare dei parametri per evitare che si danneggi questo mercato».
Non soltanto tutele di categoria e lavorative, ma il fenomeno sta interrogando inevitabilmente anche gli esperti del mondo della comunicazione e della sociologia. A soffermarsi su questo tema è stato Davide Bennato, docente di Sociologia dei media digitali all’Università di Catania. «Adesso l’influencer marketing, per esempio, è una figura istituzionalizzata ed è un tassello di cui il marketing non può fare a meno – dichiara Bennato – L’influencer si presenta come una figura che fa leva sulla propria visibilità, basata su scopi commerciali. Non è altro – continua – che una caratterizzazione di una strategia che esiste già da molto tempo: penso a testimonial che fondavano la loro visibilità su cinema e sport, opinion leader che già esistevano negli anni 50′ o 60′ adesso sono cambiate le piattaforme e l’interazione, che hanno sbaragliato alcune certezze che già si credevano sedimentate». È escluso, almeno per il momento, che il mondo dell’influencer possa diventare una materia da studiare in ambito accademico. «È un ambito troppo tarato sul contemporaneo e non sappiamo quanto possa essere stabile, ma sicuramente sarebbe interessante un corso su come una persona con una certa fama esercita la propria influenza su piattaforme digitali. Sarebbe importante dal punto di vista sociologico e politico».
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