In un anno 6mila posti di lavoro in meno a Palermo Più colpiti giovani e uomini, Cgil: «Dati drammatici»

A Palermo, in un solo anno, si sono persi 6mila posti di lavoro ed è cresciuta di oltre sei punti percentuale la disoccupazione giovanile. Ferma, invece, l’occupazione femminile mentre il tasso di disoccupazione balza dal 23,9 per cento al 25,1 per cento. E almeno tremila le persone che non cercano occupazione.  È un quadro assai sconfortante quello che emerge dal raffronto, elaborato dal Cerdfos, il centro studi della Cgil, tra le ultime rilevazioni Istat del quarto trimestre 2016, con quelle, di un anno fa, del quarto trimestre del 2015. Più nel dettaglio, gli occupati si riducono e passano da 324 mila a 318 mila unità. Nel 2007, dieci anni fa, gli occupati erano 365 mila. E si innalza sensibilmente il tasso di disoccupazione giovanile: dal 65 al 71,2 per cento.

«Sono confermate le nostre analisi e le denunce che facciamo da anni – denucia il segretario generale della Cgil Palermo Enzo Campo -. C’è un problema di occupazione, di qualità e quantità del lavoro. Al di là delle medie, ci sono parti della nostra provincia dove il tessuto economico e sociale è ai minimi termini e lì i dati sono ancora più drammatici. La vera emergenza di Palermo è il lavoro, la sua quantità e la sua qualità». In città la perdita di posti di lavoro colpisce soprattutto l’universo maschile. Dei 6mila posti di lavoro persi, infatti, 5mila in meno si trovano nell’industria: mille si sono persi nel manifatturiero e 4mila nelle costruzioni. I rimanenti mille posti in meno riguardano i servizi.

Sul fronte femminile, invece, il mercato del lavoro è rimasto completamente fermo. Restano 113 mila a Palermo le donne occupate, come un anno fa. Non c’è stato nessun incremento né decremento. Anche il tasso di disoccupazione femminile resta stabile: è pari al 26,3 per cento, in linea con il dato dell’anno precedente. Il tasso di occupazione, poi, si abbassa dal 38 per cento al 37,4 per cento. E cresce quello dei disoccupati, che passano da 102 mila a 107 mila, con un tasso di disoccupazione che balza dal 23,9 per cento al 25,1 per cento. La disoccupazione giovanile si incrementa e passa dal 65 per cento al 71, 2 per cento. Una variazione significativa riguarda gli inattivi: diminuiscono, e passano da 417 mila a 414 mila. Un fatto che va letto partendo dalla considerazione della precarietà e della fame di lavoro.

«Ci sono almeno 3mila persone che non cercavano lavoro e che da un anno all’altro hanno iniziato a darsi da fare per trovare un’occupazione – sottolinea -. La diminuzione degli inattivi dimostra che la situazione è abbastanza pesante e precaria. Non siamo fuori dal tunnel, mai si era verificata una caduta occupazione di questa portata. L’occupazione è strettamente legata all’andamento del Pil, cioè ai consumi e all’investimento. Se non si lavora su queste due variabili, consumi e investimento, non si creerà occupazione». Anche il dato sulla stazionarietà del mercato del lavoro delle donne, rimasto completamento fermo a Palermo, fa riflettere sulla disuguaglianza di occasioni e prospettive. «Considerando che la maggior parte delle famiglie è monoreddito, e che la perdita occupazionale ha interessato gli uomini – conclude Campo – significa che ci sono parecchie migliaia di famiglie in condizione di povertà». 

Ma a impensierire la Cgil è soprattutto la massa di lavoratori ormai tagliate fuori dal ciclo produttivo, quella che Campo con una battuta definisce la Lapa economy in contrapposizione alla New ecomony: «A Palermo circa 500mila persone sono fuori dal ciclo produttivo – spiega ancora Campo facendo riferimento a dati Istat del 2015 -, divise in 102mila in cerca di occupazione e in 417mila inattivi, che vivono ai bordi di un’economia tra l’illegale e la sopravvivenza. Un modello economico, quello della Lapa econmy, che consente di sopravvivere a chi si è impoverito». Un sistema emergenziale ormai molto diffuso che per il segretario generale, tuttavia, potrebbe essere organizzato attraverso processi di emersione e diventare occasione di sviluppo. «Da una parte non possiamo fare finta di non accorgerci che esiste una grossa fetta di gente che vive ai margini della legalità nel commercio, nel turismo, nella distribuzione, nei servizi. Dobbiamo fare diventare industria il modello economico fai-da-te -conclude-, aiutadolo a legalizzarsi». 


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