La teoria del traino delle classi dominanti del professore massimo costa non vale per altre realta': palestina, crimea, ucraina, catalogna, irlanda del nord, popolo basco. Li' i popoli lottano. Io ho solo proposto di coinvolgere i ceti popolari della nostra isola
In tanti Paesi del mondo si lotta per l’Autonomia: tranne che in Sicilia…
LA TEORIA DEL TRAINO DELLE CLASSI DOMINANTI DEL PROFESSORE MASSIMO COSTA NON VALE PER ALTRE REALTA’: PALESTINA, CRIMEA, UCRAINA, CATALOGNA, IRLANDA DEL NORD, POPOLO BASCO. LI’ I POPOLI LOTTANO. IO HO SOLO PROPOSTO DI COINVOLGERE I CETI POPOLARI DELLA NOSTRA ISOLA
Seppure con ritardo tenteremo di dare una risposta a quanti hanno mosso osservazioni alle riflessioni sulle origini e sugli oltre sessantasette anni dell’Autonomia speciale della Sicilia. Il ritardo è dovuto alla attesa delle ragioni che il nostro direttore aveva annunciato all’atto della pubblicazione dell’articolo. Aggiungo che l’articolo è scomparso troppo in fretta dalle pagine del nostro giornale e con esso si è miseramente concluso il tentativo di dare una intensificazione al dibattito sull’argomento che il nostro giornale ha da tempo promosso.
L’articolo in questione voleva semplicemente introdurre un diverso punto di vista, piuttosto che soffermarsi su una impostazione di maniera che, a parere di chi scrive, lascia il tempo che trova. D’altra parte, la litania rivendicazionista piagnona della Sicilia frustrata è un marchio tutto nostrano.
Lo Stato perpetra continuamente abusi e prevaricazioni e mai che in Sicilia si verifichi un moto di ribellione, una protesta popolare, una lotta intransigente alla lesione delle prerogative autonomiste. Nulla. Dov’è l’orgoglio sicilianista? Dov’è la consapevolezza che l’Autonomia è una conquista dei siciliani? Dov’è la voglia di riscatto ‘nazionalista’ della Sicilia?
C’è solo la richiesta di potere disporre di maggiori dotazioni finanziarie senza che accanto vi sia la domanda: per farne quale uso nella prospettiva dello sviluppo generale del territorio, dell’impresa, dell’occupazione, della competitività internazionale, della liberazione del territorio siciliano dall’ipoteca statunitense, della sconfitta della mafia attraverso la crescita economica e culturale?
Ecco, questi interrogativi e le relative risposte mancano nel dibattito autonomista. E allora la domanda che ci dobbiamo porre è: cosa intendiamo per Autonomia se non è traguardata all’affermazione di una capacità innovativa, di progresso e di pace nel Mediterraneo, libera da presenze militari e di apparati di guerra? Senza un progetto che abbia questo respiro non ci resta che rivendicare più soldi, ma non per farne che? Forse per alimentare la corruzione di massa da parte del potere (qualcuno dovrebbe spiegare cos’è il clientelismo, se non un modo scientifico, istituzionalizzato, di corruzione di massa)?
Ecco, ci sarebbe piaciuto che i nostri critici facessero riferimento alle cose che dovrebbero riempire la saccoccia dell’Autonomia nell’interesse popolare, piuttosto che discettare sulla moneta siciliana che, nella migliore delle sue applicazioni, potrebbe trovare spazio soltanto negli scambi interni alla Sicilia. Non essendo, infatti, una divisa di uno Stato sovrano non avrebbe alcun riconoscimento internazionale. E, pertanto, avrebbe la stessa funzione di un pannicello caldo.
Al professore Massimo Costa vorrei dire semplicemente che se la sua ricetta sull’inevitabilità del ruolo trainante delle classi dominanti fosse vera non avremmo avuto un intero popolo, quello cinese, che attraverso la Lunga Marcia si è liberato dell’imperial-colonialismo occidentale ed affermare la sua indipendenza.
Per non parlare del popolo vietnamita che, attraverso due guerre cruente, si è liberato dell’oppressione imperialista occidentale, prima di marca francese e poi di stampo americano, ed ha conquistato la sua indipendenza.
E ancora il popolo palestinese, che lotta per la sua indipendenza, con enormi sacrifici umani, contro il dominio israeliano.
Poi il popolo della Crimea, che si è espresso, con referendum, per una sua collocazione nazionale e l’ha tenacemente raggiunta.
Quindi il popolo dell’Ucraina orientale che non vuole far parte dell’Unione europea e lotta per la sua indipendenza.
Il popolo catalano che si adopera per la sua collocazione autonoma rispetto al Regno di Spagna ed è impegnato, anche attraverso i referendum a conseguire il suo obiettivo.
Il popolo basco che rivendica anch’esso la sua autonomia dalla Spagna. Insomma senza tutte queste lotte popolari non sarebbero stati raggiunti questi risultati. Mettendoci anche il popolo dell’Irlanda del Nord, che vuole e persegue l’indipendenza dal Regno Unito. E la stessa cosa vale per la Scozia.
La lista potrebbe continuare a lungo: di interi popoli (e non classi dominanti) per più generazioni hanno lottato e lottano per la loro indipendenza perché consapevoli delle loro aspettative storiche e non per sostenere i privilegi delle loro ‘classi dominanti’.
In Sicilia, contrariamente a ciò che capita in giro per il mondo, il popolo viene sempre tenuto lontano dalle decisioni che lo riguardano direttamente. In Sicilia il referendum è tabù, il popolo non ha diritto di dire la sua su nulla. Ecco, se questo è il tipo di Autonomia che vogliamo, non ci resta che ribadire che questa autonomia alla Sicilia non serve.
P.S.
Il dottore Sebastiano Di Bella è andato in pensione, ma la discussione su i suoi redditi non ha avuto alcuna risposta. Questo fatto non ha altra logica che quella di confermare che il popolo siciliano non ha diritto di sapere come vengono spesi i suoi soldi, in favore di quali privilegi.
Solo una istituzione pubblica autonomista che avesse il minimo rispetto per il popolo che essa amministra, avrebbe risolto la questione rendendo pubbliche le entrate reddituali del segretario generale dell’Assemblea regionale siciliana.