Nel 2008 Giuseppe contesta la richiesta di interessi superiori al contratto: il giudice gli dà ragione, ma comincia un braccio di ferro con l'istituto. A quel punto l'ingengere catanese denuncia Mps per violenza privata, ma intanto l'attività della sua società di costruzioni si ferma e di 15 lavoratori ne resta solo uno
Imprenditore etneo contro Monte dei Paschi Siena Fa causa alla banca, vince ma resta senza lavoro
Vince una causa contro la banca ma è costretto a fermare l’azienda. È l’amaro epilogo della storia professionale di un imprenditore catanese che preferisce restare anonimo e che chiameremo Giuseppe. Ingegnere etneo, oggi vive a Milano dove sta cercando di reinventarsi una vita tramite l’attività di consulenza. Perché, nonostante la sua vicenda giudiziaria nei confronti della Monte dei Paschi di Siena di Catania non sia ancora conclusa, dell’azienda di costruzione di famiglia – sul mercato da quattro generazioni – oggi non resta quasi più niente. «Tra la crisi di liquidità e la segnalazione alla centrale rischi, per la mia società non c’è più spazio di manovra – racconta – Il personale è stato ridotto da 15 unità a una sola e sono stati dimessi l’intero parco mezzi meccanici e tutte le attrezzature». Una storia che inizia nel 2008 e il cui ultimo capitolo è, secondo Giuseppe, «un atto di ritorsione». «Che si tramuta in una vera e propria violenza privata», scrive Goffredo D’Antona, legale dell’imprenditore, in una denuncia alla procura di Catania.
Ormai più di dieci anni fa Giuseppe e la sua azienda di costruzioni prendono un’importante commessa. A causa di alcuni ritardi nei pagamenti del lavoro, il conto della società alla Monte dei Paschi di Siena etnea registra delle scoperture. Ma gli interessi richiesti negli anni dalla banca sono superiori a quelli stabiliti nel contratto e per questo nel 2008 Giuseppe fa causa all’istituto. Con una sentenza del 2014 il giudice del Tribunale di Catania dà ragione all’imprenditore e condanna Mps a restituire a Giuseppe più di un milione di euro. Ma passano i mesi, i soldi non arrivano e l’imprenditore avvia le procedure per il pignoramento. La banca si fa viva a fine maggio 2015 per comunicare la chiusura del conto aziendale, con un dovuto da parte dell’imprenditore di circa 600mila euro e la contemporanea segnalazione del suo nome alla centrale rischi in caso di richiesta di credito. A questo punto Giuseppe, tramite il suo legale, tenta la carta dell’accordo: se la banca rinuncia ai soldi dovuti per la chiusura del conto, lui si dice disposto a pareggiare con la somma stabilita dal giudice. Nonostante la Monte dei Paschi debba a lui una cifra quasi doppia di quella che lui deve alla banca. «Questa proposta, a tutt’oggi, non ha avuto riscontro», spiega l’imprenditore.
Così a luglio Giuseppe denuncia l’istituto per violenza privata. «La banca non sta perseguendo nessun interesse funzionale e istituzionale – si legge nel documento inviato alla procura etnea – La sua condotta è semplicemente finalizzata a produrmi un danno gravissimo e in più a forzare la mia volontà. E per perseguire questa condotta non si preoccupano di subire un pignoramento di un milione di euro. Mi sono permesso di citare in giudizio una banca, ho pure vinto il processo. La risposta è eloquente». A questo proposito il legale di Giuseppe scrive alla direzione etnea della Monte dei Paschi di Siena per sapere chi è il dipendente del centro Piccole e medie imprese (Pmi) che ha firmato la lettera di chiusura del conto e ha segnalato l’imprenditore alla centrale rischi. La banca, in base a una possibilità disposta dalla legge, rifiuta di fornire i dati. E la risposta arriva dallo stesso ufficio denunciato dall’imprenditore. A questo punto il legale di Giuseppe si rivolge ai magistrati, affinché siano loro a richiedere alla banca l’identità del dipendente.
Adesso il caso è in mano alla procura etnea, ma intanto Giuseppe raccoglie i cocci della vicenda. La sua azienda, dopo quattro generazioni di attività, risulta formalmente operativa ma è nei fatti ferma. «Al momento le conseguenze professionali sono una sostanziale chiusura dell’attività dell’impresa e la necessità da parte mia di reinventare una nuova attività di consulenza», spiega. L’imprenditore, che oggi vive e lavora a Milano, non ne fa una questione geografica: «Fossi stato al Nord non sarebbe cambiato niente; la centrale rischi è di fatto uno strumento nelle mani delle banche che può essere utilizzato contro le aziende». Ma alla domanda su eventuali futuri progetti di investimento in Sicilia, la risposta è netta: «No».