Dei quasi quattromila impianti di cartellonistica stradale installati a Catania, più della metà sarebbero illegittimi. Perché «installati in luoghi non previsti dal piano regolatore generale apposito». E anche se il Comune ha tentato una «sanatoria», il Cga gli ha dato torto. E adesso tocca fare i conti
Impianti pubblicitari, giro d’affari da tre milioni «La metà abusivi, si rischia un buco di bilancio»
È con una determina dirigenziale datata 29 maggio che il Comune di Catania prende atto della sentenza del Cga che dà ragione alla società Job Creations. L’argomento sono i cartelloni pubblicitari. In particolare quelli delle compagnie Start e Alessi «installati in luoghi non previsti dal piano regolatore generale degli impianti» che, secondo quanto stabilito dalla giustizia amministrativa, sarebbero «in palese illegittimità». E, a cascata, potrebbero esserlo anche tutti quelli, messi in posizioni non previste dal prg dedicato alla pubblicità, di proprietà delle aziende che hanno firmato, un anno fa, il protocollo d’intesa con l’amministrazione. «Gli impianti di cartellonistica abusiva, a Catania, sono più della metà del totale», spiega il consigliere comunale Niccolò Notarbartolo. «Se consideriamo che da tutti, senza distinzione, il Comune incassa circa tre milioni di euro all’anno, quando verranno meno gli introiti di quelli illegittimi nelle nostre casse verranno a mancare più di due milioni di euro», continua. Un ammanco con il quale Palazzo degli elefanti potrebbe dover fare i conti già dal 2015.
Inizia tutto nel 1999, quando la piccola azienda Job Creation chiede al Comune di Catania di poter installare degli impianti di cartellonistica stradale. Del resto, il piano regolatore generale degli impianti – che, per mezzo di planimetrie dettagliate, stabiliva quante strutture di affissione si potessero costruire e dove – era stato varato nel 1997. E anche se le aziende etnee già sul mercato non si erano adeguate, avrebbero dovuto farlo quelle nuove. La richiesta della Job Creation, però, non viene valutata. È a quel punto che parte il primo di una serie di ricorsi al Tar e al Cga, con i conseguenti pronunciamenti. Dei quali l’ultimo solo un mese fa. Il nodo della questione è sempre uno: quali sono gli impianti regolari? Quelli pre-piano regolatore o quelli costruiti dopo?
Nel frattempo, nel 2013, un piano di riordino varato dall’amministrazione invita gli operatori del settore a mettersi in regola. Gli spazi pubblicitari non a norma, infatti, sono da considerarsi distrazioni per gli automobilisti. E violano le norme del codice della strada. È in quell’anno che, alle aziende con impianti irregolari, vengono fatte una serie di multe. Tutte annullate grazie a un articolo inserito all’interno del protocollo d’intesa firmato l’anno successivo. Una specie di sanatoria. O, come la definisce il Cga, «una sorta di negoziazione tra e con gli operatori di settore». Che, sempre secondo i magistrati, sarebbe illegittima.
La sentenza, datata 8 maggio, arriva dopo l’ennesimo ricorso della Job Creations contro due dei principali concorrenti: i gruppi Start e Alessi. Ma affinché il Comune decidesse di attuarla sono stati necessari 21 giorni. «I loro impianti adesso dovrebbero essere oscurati e loro multati», spiega Maurizio Giuffrida, della Job. Che già il 22 maggio aveva annunciato una diffida diretta a Palazzo degli elefanti se non avesse applicato le disposizioni dei giudici. Una settimana dopo, l’amministrazione determina di «dare mandato agli uffici di provvedere ai conseguenti ed obbligatori adempimenti di natura esecutiva», si legge nel documento.
«È una questione complessa», interviene il consigliere Notarbartolo, che già in passato si era occupato del tema. «Se è vero che il protocollo è fondato su basi illegittime, il Comune dovrebbe revocare, in autotutela, tutti gli atti amministrativi che hanno portato a firmarlo – spiega – L’alternativa è restare a guardare e aspettare cosa succede». Perché, se la Job Creations aveva fatto ricorso contro due aziende, un’altra società del settore ha impugnato l’intero accordo tra il Comune e gli operatori. In corso, cioè, c’è un ricorso sul protocollo d’intesa nel suo complesso. «Se il Tar dovesse ribadire che non si poteva fare, allora noi non potremmo più richiedere il pagamento degli spazi abusivi. Sarebbero tutti incassi in meno, una perdita improvvisa di quasi due milioni di euro», prosegue Niccolò Notarbartolo. «C’è da capire se questa perdita riguarderebbe già quest’anno oppure l’anno prossimo». E conclude: «Sarebbe necessario un nuovo piano regolatore in tempi rapidissimi. Per riportare la questione nell’alveo della legalità e fare in modo di evitare un possibile buco».