Immigrazione, dal nuovo sbarco selettivo al classico richiamo all’Europa: «Questione che fa comodo non risolvere»

Uno sbarco selettivo: molti sì, pochi no. Criteri di valutazione della fragilità arbitrari. Dubbi su forma e sostanza delle richieste di asilo. I giorni di passione vissuti dai migranti al porto di Catania sembrano aprire scenari nuovi nel dibattito sull’immigrazione, ma poche soluzioni. Ne abbiamo parlato a Ora d’aria – su Radio Fantastica e Sestarete tv – con Riccardo Campochiaro, avvocato, presidente del Centro Astalli Catania e in questi giorni legale della ong Sos Humanity, una delle imbarcazioni rimaste ferma per giorni al molo etneo.

Raramente come in questi giorni si sono levate così tante voci di protesta sul tema immigrazione. Trasversali e anche nuove, per provenienza e forza: penso a esponenti e militanti di destra e alla Chiesa. Come la legge?
«Io credo che in questo momento, più che in altri, ci sia una strumentalizzazione della questione migranti utilizzata dal governo per mettere le cose in chiaro su un argomento che faceva parte della campagna elettorale, con una forte impronta identitaria. Un modo insomma per dire: facciamo quello che avevamo promesso…».

Più o meno, considerato che sembrano aver scontentato tutti. Chi vorrebbe i migranti tutti a terra e chi invece sperava in una linea dura di blocco alla Matteo Salvini…
«Il senso forse è stato proprio quello di evitare che dei giudici, com’è stato per Salvini, possano ordinare lo sbarco di persone vulnerabili. Così si è provato a superare l’ostacolo con la selezione; un passo in più che però rischia di creare anche all’interno della stessa maggioranza dei contraddittori, perché anche mediaticamente è facile sostenere che si tratta di una scelta sbagliata e con criteri non chiari».

A proposito di criteri: almeno a voi legali sono stati resi noti?
«Il criterio oggettivo utilizzato è stato quello di sesso ed età: quindi le donne, incinte o meno, e chi si dichiarava minore sono stati fatti sbarcare. Per gli adulti uomini, invece, per quello che ci dice l’equipaggio della Sos Humanity, la valutazione sembra essere stata più sommaria. Includendo nella vulnerabilità chi aveva magari ferite evidenti, ma senza tenere alcun conto del disagio psichico o di altre eventuali patologie, anche perché erano assenti sia psicologi che mediatori».

Un elemento che, insieme alle continue novità nell’approccio agli sbarchi – totali, bloccati, parziali, nel tempo ne abbiamo viste diverse -, fa sorgere il dubbio, caro anche a questo governo, della certezza del diritto. Davvero dopo anni non è ancora chiaro cosa si può fare e cosa no?
«Il diritto dell’immigrazione e ancora di più lo specifico diritto d’asilo sono frammentati. Si basano su decreti legge, decreti legislativi e pochissime leggi; si sono formati insomma non a livello parlamentare, ma a livello governativo da tutte le parti politiche che si sono succedute. E questo perché si tratta di un tema appunto spesso strumentalizzato. Per capirci, è un po’ come il decreto rave: si vuole lasciare il segno su un punto facendo un decreto. E creando una frammentazione e una inversione di fonti per cui mi capita spesso di citare la costituzione e vedermi opporre delle circolari; come se potessero avere una importanza superiore. E in fondo è per questo che esistiamo noi avvocati: la legge è sempre interpretabile, anche se non sempre chi è più debole ha modo di esercitare i propri diritti. Per così dire, sono pochi gli stranieri che, davanti a un diritto negato, tornano poi con l’avvocato».

Davanti alle novità di questi giorni ci sono però anche dei punti fermi: come quello che invoca una soluzione da parte dell’Europa. Perché non ci si lavora su tra uno sbarco e l’altro?
«In parte gli strumenti ci sono e la presa in carico dei migranti è stata in parte risolta all’epoca di Salvini con i ricollocamenti. Ossia lo strumento secondo cui chi arriva in Italia fa qui la propria richiesta di asilo per poi essere ricollocata in vari paesi europei. Una soluzione però ancora tutta da studiare perché volontaria da parte dei Paesi, che potevano scegliere quanti migranti ospitare e forse anche di che nazionalità, ma senza nessuna possibilità di scelta per il migrante. Uno strumento tra l’altro usato pochissimo, a riprova del fatto che non si voleva davvero risolvere il problema. Io ho assistito uno dei pochi ricollocati, fortunato perché gli toccava la Germania. Solo che in Italia aveva la compagna, che di lì a poco avrebbe partorito il loro bambino. In ogni caso, sono soluzioni di cui si può discutere con i piedi per terra, quando sbarcano…».

Conoscendo insomma le loro posizioni. Cosa che ancora non è stata davvero possibile, è corretto?
«E infatti un’altra delle questioni è proprio questa: di fatto noi, prima, non sappiamo se queste persone hanno figli qua, se vogliono chiedere protezione, se hanno dei legami in Italia, se ci hanno vissuto o magari studiato. Anche volendo pensare alla sicurezza, tema caro ad alcuni, non sappiamo se a bordo ci sono terroristi o persone fotosegnalate in altre nazioni. È solo facendoli sbarcare e attivando le procedure che garantiamo la sicurezza, non di certo rimettendoli in alto mare, dove potrebbero vivere un nuovo naufragio. Anche perché sono su una nave di soccorso, non da crociera».

Per questo voi avete presentato e annunciato ricorsi. Esattamente su cosa vertono e che tipo di possibilità permettono?
«Il nostro compito di base era assistere Sos Humanity da quando ha ricevuto il decreto interministeriale, cercando di capire le conseguenze della sua applicazione o disapplicazione. Il decreto dice che la nave deve lasciare il porto non appena conclude le operazioni di soccorso. Ecco, il capitano ha ritenuto da subito che queste operazioni possono dirsi concluse solo quando tutti sono a terra e quindi l’eventuale sanzione da 10mila a 50mila euro per noi non sarebbe applicabile. Su questo è pronto il nostro ricorso al Tar del Lazio, mentre l’altro ricorso al tribunale di Catania, relativo alla possibilità di far sbarcare le persone, è stato presentato con uno strumento d’urgenza che permette di avere risposte in tempi brevi, insoliti per la giustizia italiana. Il punto più ampio, comunque, è che tutti, richiedenti asilo o meno, sono persone che hanno subito un naufragio e meritano soccorso. Poi, per farla breve, è ovvio che chi non può restare verrà rimpatriato».

Se il governo stesse cercando idee per risolvere il problema, quali sono le tre priorità che si sentirebbe di consigliare?
«Innanzitutto anche noi concordiamo sul fatto che l’immigrazione sia una questione da affrontare a livello europeo. È assurdo che le merci possano circolare liberamente e le persone che entrano in Italia no. Deve essere l’Europa a prendersi carico dell’accoglienza ma se l’Italia è il porto sicuro, allora deve dare il primo soccorso e attivare la rete di protezione. Poi chiederei di incentivare un sistema d’accoglienza su cui si stava lavorando fino a qualche anno fa, basato su centri più piccoli e integrati nei territori. Infine rivedrei il sistema degli hotspot e dei centri di permanenza per il rimpatrio: centri di trattenimento amministrativo con meno diritti delle carceri. La privazione della libertà è la stessa, ma lì la situazione è ancora più debole sotto il profilo dei diritti umani».

Foto Sos Humanity


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