Roberto Scipilliti è stato trovato morto il 14 gennaio. Oggi la svolta: una responsabile del delitto sarebbe Fortunata Caminiti, bloccata agli imbarcaderi con il pluripregiudicato Fabrizio Ceccio. La donna ha noleggiato un'auto trovata sporca di sangue e ripresa vicino al luogo dove è stato trovato il cadavere
Il vigile del fuoco sarebbe stato ucciso da una donna Arrestata pochi giorni fa a Messina con un latitante
Roberto Scipilliti, il vigile del fuoco scomparso a Santa Teresa di Riva il 5 gennaio e trovato senza vita a Savoca nove giorni dopo, sarebbe stato ucciso da Fortunata Caminiti, la 47enne fermata insieme al latitante pluripregiudicato Fabrizio Ceccio il 14 gennaio agli imbarcaderi di Messina. La svolta arriva a seguito delle indagini dei carabinieri del comando provinciale, che adesso stanno dando la caccia ai possibili complici della donna.
Il 56enne Scipilliti era scomparso nel pomeriggio del 5 gennaio, dopo essere uscito dalla sua abitazione di Roccalumera ed essersi allontanato a bordo del suo fuoristrada, ritrovato chiuso a chiave a Santa Teresa di Riva il giorno stesso, con a bordo un borsone con alcune divise dei Vigili del fuoco, una busta con dei ricambi e delle medicine custodite nel cruscotto. I militari dell’Arma, attivando il servizio di localizzazione, hanno verificato che il cellulare dell’uomo si trovava nel Comune di Savoca. Elemento che ha permesso di restringere il campo delle ricerche, ed effettivamente il 14 gennaio il corpo di Scipilliti è stato ritrovato a Savoca, in località Rina Superiore, in fondo a un fosso adiacente alla strada provinciale 21, nascosto tra la vegetazione e parzialmente coperto da un sacco di plastica nero, di quello usato per i rifiuti.
Sul corpo vengono rilevati una ferita alla testa, causata probabilmente da un colpo sferrato con un oggetto, e una strana lesione alla base del naso, che i carabinieri identificano come il possibile foro di uscita di un proiettile. L’autopsia risolve il dubbio, perché addebita la causa della morte a un colpo di pistola calibro 9, esploso a distanza ravvicinata dall’alto verso il basso. Le ricerche effettuate sul luogo del ritrovamento del cadavere, anche con l’aiuto del Ris, non hanno consentito di trovare né il bossolo, né l’ogiva del colpo che ha perforato da parte a parte il cranio di Scipilliti. Tuttavia, in una delle tasche dell’uomo, viene trovato il suo telefono cellulare sporco di sangue e con lo schermo danneggiato. Dall’acquisizione del traffico telefonico dell’utenza, cominciano a emergere particolari definiti dai carabinieri utili alle indagini.
Dopo aver trovato il corpo, i carabinieri cercano eventuali telecamere lungo le strade vicine e l’attenzione cade su una Fiat Panda gialla, di cui non riescono a leggere la targa, ma i cui movimenti destano più di un sospetto. La macchina transita alle 15.28 del giorno in cui Scipilliti scompare, sulla strada che conduce al luogo dove è stato trovato il cadavere, per poi tornare in direzione opposta sette minuti dopo. Acquisendo molte riprese da telecamere poste sull’intero litorale jonico, gli investigatori riescono a ricostruire la targa e arrivare, il 20 gennaio, all’auto: si tratta di un mezzo intestato a una ditta di noleggio del Catanese. Il 4 gennaio, quindi il giorno prima della scomparsa dell’uomo, la Panda viene presa in affitto da Fortunata Caminiti che, per l’occasione, presenta documenti falsi. Gli stessi documenti con cui viene fermata agli imbarcaderi pochi giorni dopo in compagnia del latitante.
Inoltre l’auto noleggiata viene restituita con un giorno di ritardo e sporca di sangue. La donna si giustifica sostenendo che a bordo si sarebbe consumata una violenta lite tra alcuni suoi amici, finiti pure in ospedale. Pochi giorni dopo un dipendente della ditta, pulendo il mezzo, trova una pozza di sangue nel vano porta oggetti sotto il sedile del passeggero anteriore, dentro cui galleggia una penna. L’uomo scatta pure una foto e commenta: «Dentro l’auto c’è stata una guerra». Secondo i carabinieri è la prova che su quell’auto è stato ucciso Scipilliti.
Da qui la richiesta da parte della Procura di Messina del fermo di Caminiti, «anche in considerazione dell’accertata capacità della donna ad utilizzare altre identità e documenti falsi, attitudine che rende concreto il pericolo di fuga». La donna si trova già in carcere, arrestata il 14 gennaio insieme al latitante messinese Ceccio, ricercato dallo scorso aprile perché accusato di associazione per delinquere finalizzata alle truffe, al riciclaggio ed alla ricettazione. I due sono stati bloccati su una nave della Caronte&Tourist, provenienti da una città del Nord Italia. Erano in possesso di documenti falsi e armati di pistola con matricola abrasa, carica e con colpo in canna, di una Beretta calibro 22 e di una Sig Sauer calibro 9, con 60 colpi circa di riserva.