Domani mattina, sessantesimo del 25 aprile 1945, andrò a manifestare. Canterò “Bella ciao” e tutto il resto. Se saremo in pochi o in molti non importa, ci andrei anche da solo. Se non temessi di apparire troppo intellettuale, porterei con me non un cartello, non una bandiera ma un libro: “Il partigiano Johnny” di Fenoglio.
Per me come per molti altri della mia generazione, la Resistenza, oltre la politica e prima della politica, è stata soprattutto questo romanzo, bello quasi come il Moby Dick di Melville, uscito proprio nel 1968. A ripensarci mi sembra davvero strano che la scoperta del valore del 25 aprile sia passata attraverso un libro così antiretorico, che si conclude con l’ultima vittoria fascista e l’ultima sconfitta partigiana. Quando lo lessi, anch’io, come tutti i giovani, ero alla ricerca di valori assoluti. Rimasi affascinato dalla visione estrema, cavalleresca, di Johnny, un novello Robin Hood: “partigiano, come poeta, è parola assoluta, rigettante ogni gradualità”.
Adesso risulta difficilissimo parlare di Resistenza e Costituzione della Repubblica ai più giovani, volendo riscattare il significato di quella scelta assoluta dalla mediocrità dell’uso pubblico della storia in cui la festa del 25 aprile è rimasta impastoiata.
Si sente parlare di riconciliazione, mentre il significato della parola partigiano è proprio l’opposto. Essere partigiani, dopo l’8 settembre 1943, significò ribellarsi, sfuggire al bando del generale Graziani e alle responsabilità civili imposte dalla Repubblica di Mussolini, scegliere di stare da una parte. Ad abbattere la dittatura non fu soltanto l’esercito degli Alleati, ma la lotta armata di chi si assunse la responsabilità di compiere quella scelta di parte; contro il “credere, obbedire e combattere” di chi pretendeva che gli Italiani incarnassero all’unisono la volonta del Capo.
Il 25 aprile non è mai stata la festa di tutti gli italiani, ma la festa dei partigiani. Senza la Resistenza, senza la lotta armata contro i nazisti e i fascisti, non ci sarebbe stata questa Costituzione della Repubblica. Chi parla di riconciliazione è nemico dello spirito di questa Costituzione e delle libertà fondamentali che essa garantisce.
Sono passati sessanta anni, nulla è intoccabile, anche la Costituzione si può cambiare. Si tratta però di stabilire se si vuole cambiare la Costituzione per accrescere gli spazi di democrazia, oppure tornare indietro. Perciò vale ancora la pena di ricordare.
A me piace farlo con le parole di Nord, il mitico comandante partigiano di Johnny: “Che ve n’è sembrato dell’inverno, ragazzi? disse: Non è stato una grande tremenda cosa? Lo è stata, ve lo dico io, ed è la cosa della quale ci vanteremo maggiormente. Non è così?”.
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