Da uninterpretazione libera e composita della tragedia di Euripide nasce il testo scritto e diretto dall'esordiente Angelo DAgosta, rappresentato giovedì scorso al Piscator
Il suo nome è Medea, ma è solo una donna fragile
“Della maga, della pazza se nè parlato, io volevo esaltare, invece, la donna in Medea, perché è la donna che muove i sentimenti ”. Così sottolinea Angelo D’Agosta, regista di “Il mio nome è Medea”, atto unico andato in scena per la prima volta giovedì scorso al teatro Piscator; un regista che, pur avendo scelto un cast unicamente al femminile, non tenta la contrapposizione alla rappresentazione classica del veto alla donna sulla scena, quanto piuttosto lintento di far raccontare alle donne la storia di una donna.
Il favore di Euripide verso la sua fiera Medea viene ora ripreso e palesato da un bacio in scena dellautore ad una Medea che perde il suo tono austero e la sua antica etimologia di astuzia e scaltrezza, lasciandoci una più romantica donna che prende caratteri più comuni di fragilità e debolezza davanti un amore tradito da Giasone, divenendo a tratti implorante, perdendo dignità nellespressione del dolore, subendo il suo stesso ripiego e la negazione di unindole vendicativa, cadendo in un travaglio psicologico di donne che amano troppo.
Lo stesso DAgosta nei monologhi della nuova Medea che adesso si rivolge alla luna e non più agli dei, sottolinea il pentimento e il diniego al passato della maga abituata a mettere fra sé ed il nemico la morte, della lucida barbara che colpita nel letto diviene capace di qualunque atto, arrivando al sacrificio estremo dei figli, purché essi siano negati a Giasone e che, invece, ne Il mio nome è Medea muoiono a causa di un incidente.
La viltà ed il cinismo di Giasone esaltati da Euripide per contribuire a modificare una visione maschilista del tempo, si affievoliscono con DAgosta che ci mostra un uomo segretamente innamorato della donna tradita, in lotta con interessi, non soltanto per la ragion di Stato, ma anche per unantica promessa di matrimonio fatta a Creusa. DAgosta istituisce così un triangolo, più televisivo che di teatro tragico, lasciando intendere una sua ispirazione più contemporanea che classica.
Dietro una recitazione adeguata al testo e coinvolgente nellinterpretazione di Creonte data da Anna Aiello, troviamo una buona idea di scenografia che interagendo con lazione scenica si lascia spogliare e strappare dando una sensazione di compiutezza e irreversibilità; meno convincenti le video proiezioni, che pur allentando la tensione recitativa lasciano poco spazio allinterpretazione dello spettatore.
Interessanti le musiche originali di Giorgio Romeo, presenza costante sul palco che accompagna con un tema ricorrente e minimale divenendo incalzante nei tratti di maggiore intensità.
Dalla prima esperienza di Angelo DAgosta e della compagnia formatasi alloccorrenza, traspare un grande entusiasmo e come afferma il regista nonostante le difficoltà siamo rimasti uniti come un gruppo damici, quali poi siamo diventati.
Foto di Luca Petralia