Nella sua ultima produzione, l'autore di Luca era gay riscrive a modo suo la storia del regno dei Borboni, perché «molti non sanno che il Sud era ricco e very good». Una versione fatta a pezzi dal docente di Unict, Rosario Mangiameli: «La gente si amava a tal punto che ogni dieci anni c'era una rivoluzione»
Il Sud prima dell’Unità d’Italia nel brano di Povia Lo storico: «Amore e lavoro? Una canzone falsa»
Un Garibaldi ladro, di soldi e soldati, anziché eroe. Un Meridione senza emigrazione e disoccupazione, dove la gente lavorava e si amava. C’era una volta… prima dell’Unità d’Italia. Parola di Povia. Il cantante nato a Milano, nella sua ultima canzone Al Sud, ha deciso di affrontare la storia, e di riscriverla a modo suo, perché «molti non sanno che il Sud era ricco e very good». Grazie a «la prima ferrovia, la prima cattedra in economia, le miniere di zolfo, la prima flotta mercantile e militare, le tasse più basse, le industrie Mongiana, Pietrarsa, Castellammare». In un clima di benessere e fratellanza, visto che al Sud «c’è sempre una festa, l’aria è diversa». Una rivisitazione del periodo storico – quello della prima metà dell’800, che ha preceduto l’Unità d’Italia – che secondo Rosario Mangiameli, professore ordinario di Storia contemporanea all’università di Catania, «è falsa e stupida».
«Nel Regno dei Borboni non c’era nessuno sviluppo economico o benessere – spiega – le pochissime industrie esistenti erano quelle militari, quindi protette, senza un vero mercato, non avevano alcun reale carattere economico, nessun beneficio per le persone. C’era solo l’industria legata alle miniere di zolfo che dopo l’Unità d’Italia ebbe più sviluppo». E la prima ferrovia d’Italia? «Venti chilometri per consentire al re Ferdinando di andare a caccia. E lo chiamano progresso? Mentre il resto d’Italia si dotava di migliaia di chilometri di ferrovie che servivano per i commerci. Basti pensare che, dopo che la Sicilia fu annessa al Regno d’Italia, in soli dieci anni, dal 1860 al 1870, fu realizzata l’intera tratta ferroviaria da Messina a Siracusa, la stessa su cui viaggiamo ancora oggi. Se andate alla stazione di Lentini c’è la lapide che ricorda il 1870, data di completamento dell’opera. Il tutto con le tecnologie di allora. Se pensiamo a quanto hanno impiegato per realizzare l’autostrada Messina-Palermo…».
Ma nel Sud ottocentesco di Povia il benessere non era solo materiale ed economico, piuttosto si respirava nell’aria, tra «la gente che si amava». «Si amava a tal punto – replica Mangiameli – che nella prima metà di quel secolo ogni dieci anni c’era una rivoluzione: 1820-21, 1837, 1848, 1860. L’emigrazione c’era ed era politica, perché chi osava parlare veniva messo in galera. Successivamente la grande emigrazione della fine dell’800 fu un fenomeno che interessò tutta l’Europa, non certo solo la Sicilia». E Garibaldi? «Non c’entra niente con questa storia – continua il docente catanese – la rivoluzione la fecero i siciliani nel 1860, Garibaldi arrivò solo in aiuto e ricevette una grande accoglienza. Certo, come in ogni guerra ci sono episodi crudeli e contestati, ma il regno dei Borboni crollò subito e non è immaginabile che avvenne per i suoi mille volontari. Fu un regime incapace di reagire alla modernità».
Eppure, nonostante le falsità storiche, la canzone di Povia nelle ultime settimane ha avuto un discreto seguito, soprattutto in ambienti che si autodefiniscono meridionalisti, ma non solo. «È come se si volesse cercare un peccato originale per l’attuale differenza tra Nord e Sud», sottolinea Mangiameli. L’ultimo rapporto dello Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, certifica che la distanza del prodotto pro capite tra il Nord e il Sud Italia nel 2014 è tornata ai livelli di inizio secolo. «Il problema – spiega il professore – non è certo l’Unità d’Italia ma la mancanza, da molti anni, di una vera politica per il Meridione e di politici meridionalisti, mentre nella prima fase della Repubblica c’era stato un grande slancio e un significativo progresso».