Il San Girolamo nello studio dipinto a Messina È la tesi di un medico della città dello Stretto

Il San Girolamo nello studio sarebbe stato realizzato nella città dello Stretto. La novità sulla celebre opera del pittore Antonello da Messina arriva dal presidente della comunità ellenica Carmelo Micalizzi. Amante della storia e collezionista di documenti e foto, Micalizzi ritiene di essere riuscito lì dove fino a oggi studiosi e critici d’arte non erano stati capaci di arrivare: stabilire una datazione e un luogo per il dipinto, custodito alla National Gallery di Londra. 

L’opera – una tavoletta di tiglio di 457 x 362 millimetri, in eccellenti condizioni dopo il restauro del 1947 – è considerata uno dei capolavori di Antonello da Messina, e tra le più rappresentative del ‘400. 

Nel dipinto manca la firma, anche se Micalizzi precisa subito che sarebbe meglio dire «mancava». Il presidente della comunità ellenica, che nella vita fa il medico, prima di commentare le proprie scoperte, si sofferma sull’opera. «Raffigura San Girolamo in veste di cardinale inusualmente seduto a uno scrittoio intento a leggere un testo forse sacro – spiega -. Tale impianto scenografico è unico nel contesto della pittura del ‘400, che aveva fino ad allora preferito il santo vegliardo ambientato nel deserto, in abiti discinti, intento a togliere la spina della zampa del leone». La curiosità per il San Girolamo ha origine dieci anni fa durante una mostra organizzata 10 anni fa al museo regionale di Messina. «Restai affascinato da quest’opera che solo dopo secoli venne attribuita ad Antonello – continua lo studioso – e portai a casa una stampa». 

Dall’esame attento di questa riproduzione Micalizzi si accorge di un particolare. «Il mio interesse è stato attratto dal pavimento: una trama di mattonelle valenziane, le cosiddette azulejos. Due piastrelle di appena tre millimetri di altezza». Ben individuabili perché poste in corrispondenza tra la coda chiusa del pavone e l’ombra della testa. Osservandole con uno specchio si leggerebbe il nome dell’artista e la data. «La lettura speculare indica chiaramente 1474. Sono chiaramente visibile inoltre i segni XI. Pertanto XI 1474, novembre 1474 – sottolinea il medico -. Questo è l’anno di realizzazione dell’opera. Subito dopo Antonello si recherà con il console Pietro Bon a Venezia dove vivrà il suo più attivo e felice momento professionale». Al contrario di quanto si è pensato fino a oggi, cioè che l’opera sia stata realizzata durante il soggiorno veneziano. «La scritta MISSI (sovrastata dal trattino dell’abbreviazione) – sostiene Micalizzi – indica Messina, poiché spesso l’abbreviazione è usata per la sincope delle sillabe che contengono le lettere nasali: la m e la n. Da cui Messina».

Inoltre, secondo il presidente della comunità ellenica l’invito a usare lo specchio sarebbe contenuto nel dipinto stesso. «Antonello invita a decriptare il dipinto affinché si legga, non come normalmente accade dall’alto e da sinistra, ma, al contrario, come in uno specchio, dal basso e da destra. Il pittore ci guida in maniera definita nella sua lezione». Gli indizi da decifrare sarebbero rappresentati dal bacile aurea, la conca d’oro sulla soglia contiene acqua. «Il bacile è uno speculum. Funge da specchio e pertanto riflette e invita leggere in maniera speculare. Anche il pavone, simbolo di vanità, secondo il mito di Narciso, vi si specchia. In alto, lungo lo spazio verticale, che io chiamo meridiana, sta poi una chiave». 

Questa dunque l’interpretazione suggerita da Micalizzi. «La chiave e lo speculum della conca aurea vengono inseriti nel dipinto per decriptare il messaggio nascosto. È chiara la volontà di Antonello da Messina di non firmare il cartiglio, ma di volere comunque nascondere graficamente la sua paternità del dipinto e l’epoca di realizzazione». Lo studio, adesso, è a disposizione di più autorevoli storici e critici d’arte. «Sono pronto a confrontarmi e a dialogare con chi vorrà approfondire questo mio studio», conclude Micalizzi.

Simona Arena

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