A 30 anni di distanza dal memorabile esordio di Mery per sempre l'attore palermitano si racconta a 360 gradi. «La politica tende a evitare l'emancipazione del cittadino. Con Ferrandelli siamo rimasti amici, anche se non mi ha difeso. Sarà il prossimo sindaco, e io sono per il perdono»
Il ritorno di Francesco Benigno, tra la tv e un film da regista «Il cuore di Palermo è nelle periferie, ma la città lo dimentica»
Dice che lo riconoscono dalla voce, un bel complimento per un attore. Francesco Benigno ha da poco festeggiato i 30 anni di carriera, da quando – come nelle migliori favole – il regista Marco Risi si accorse di lui a un provino. Si trovava lì per caso perché stava accompagnando un amico. Tra i protagonisti di Mery per sempre e poi Ragazzi fuori, due film cult che raccontavano la Palermo ai margini, la carriera di Benigno è stata una sorta di montagna russa. Dodicesimo di tredici figli, un carattere difficile per via di una vita difficile, dopo un periodo di assenza dalle scene l’attore palermitano è tornato in tv domenica e lunedì (e lo farà per altre due puntate) nella miniserie Rai La vita promessa, diretta da un altro cognome eccellente del cinema come quello di Ricky Tognazzi. E sabato prossimo presenterà al cinema De Seta il mediometraggio Scintilla: un film in famiglia, da lui stesso diretto e scritto e interpretato dal figlio Manuel, sul tema del cyberbullismo.
Si parte dunque dall’assenza: che fine aveva fatto Francesco Benigno? «Me l’hanno chiesto in molti negli ultimi tempi – sospira – Il cinema è molto complesso, non puoi decidere tu quando recitare. Il mestiere dell’attore è difficile perché puoi lavorare sei mesi e poi stare fermo un anno. Poi si fanno delle scelte: ci sono attori che scelgono di fare qualsiasi cosa, la tua presenza in scena dipende inoltre dalla produzione, dal personaggio che devi interpretare. E come in ogni campo ti fai amici e nemici, come è capitato a me che ho 30 anni di carriera alle spalle e ho girato quasi 50 pellicole tra film e fiction».
L’attore ringrazia «professionisti del calibro di Ricky Tognazzi, che riesce a imporre alla produzione le sue scelte» e svela che nella miniserie «avrebbe dovuto esserci pure Luigi Maria Burruano, che ho sempre stimato e che ricorderò sempre». Eppure la scelta di un palermitano doc come Benigno per interpretare un siciliano degli anni ’20 non è così scontata nel mondo delle fiction. «Prendi Gabriel Garko – osserva Benigno – che magari in tv fa i grandi numeri nei panni improbabili di un siciliano ma solo perché è gratis, e infatti se fa qualcosa al cinema, dove si deve pagare per vederlo, non ci va nessuno». Il Natale dei due film di Risi, insomma, non le manda certo a dire anche nella realtà. «Non accetto atteggiamenti arroganti di certi produttori, non abbasso la testa facilmente, il nostro Paese soffre dell’arroganza del potere. Nel cinema si va a tagliare: sono stati cancellati gli aiuto registi, c’erano gli agenti e sono stati sostituiti dai cosiddetti casting, composti da persone improvvisate che cercano solo ruffiani. Oggi poi sono tutti produttori ma senza portafoglio, mettici pure il taglio dei fondi dal Ministero dei Beni culturali e il fatto che si lavora soltanto per il denaro e si capisce come stanno il cinema e la tv».
Un mondo, quello del jet-set romano, che Benigno ha conosciuto bene nei suoi anni di vita nella Capitale, all’indomani dell’improvviso e stordente successo («le nuove generazioni conoscono a memoria le battute di Mery per sempre e Ragazzi fuori e non conoscono invece manco una battuta di una serie che magari hanno visto ieri»). Dopo alterne fortune – periodi di buio intervallati da buoni successi, e la vittoria nel 2008 del grifone d’argento al Giffoni film festival – l’attore sceglie nel 2012 di ritornare a casa, nella sua Palermo. «Ho provato a mettermi al servizio di questa città, sperando di trovarla cambiata – dice – E invece sono arrivato nel pieno delle elezioni, dove tra otto candidati a sindaco ha vinto Orlando».
Anche in questo caso la sua esistenza conferma di essere un perpetuo ottovolante. Nel 2017 prova l’esperienza politica, candidandosi al consiglio comunale prima con Fabrizio Ferrandelli e poi con Ismaele La Vardera. Entrambe le esperienze però vanno male: il primo lo scarica dopo che questi aveva risposto in maniera aggressiva ad alcune critiche sui social, col secondo la vicenda finisce in tribunale per una presunta aggressione dell’attore. «Il tentativo dell’ingresso in politica è stato uno dei più grandi errori della mia vita – ammette Benigno -, avrei dovuto ascoltare la mia compagna. Sono scomodo e non mi adeguo a certi meccanismi, volevo dare voce a chi non ne ha, a partire alle periferie dalle quali provengo. Con Ferrandelli siamo rimasti amici anche se non mi ha difeso, ma ho imparato che la politica è questa. Io non volevo fare il paladino della cultura, volevo dare un mio personale contributo su quello che conosco meglio, il 60 per cento della popolazione palermitana è quella delle periferie. Anche adesso, siamo a piazza Politeama ma siamo circondati da periferie e rioni popolari: Borgo Vecchio, la Vucciria, Ballarò, il Capo, la Noce. Il cuore di Palermo è in mezzo alle periferie, ma la città lo ha dimenticato».
L’attore non ha mai mancato di far sentire la propria opinione, anche attraverso dirette Facebook. E continua ancora ora. Pensa per esempio all’ippodromo («lancio la palla a qualche consigliere comunale, non facciamo morire quello spazio, si può creare lì una città del divertimento creando attività commerciali e posti di lavoro»), e attacca la classe dirigente locale («la politica che ancora oggi abbiamo tende ad evitare l’emancipazione del palermitano»). Per poi aggiungere con una più efficace formula dialettale «i vonnu sciminuti, li vogliono ignoranti, e col voto di scambio, per questo siamo molto indietro e siamo provinciali. Anche dal punto di vista artistico – aggiunge – si vede che siamo indietro. Io ci ho provato, ho fatto due format televisivi che anche dal punto di visto tecnico sono stati impeccabili».
Ma a sei anni di distanza Francesco Benigno se la pone la classica domanda ma cu tu fici fari? «No – risponde deciso – perché innanzitutto qui ho conosciuto l’amore, grazie alla mia meravigliosa compagna Valentina. Finalmente ho potuto stare vicino a mio figlio Giuseppe, che nel frattempo si è sposato ed è diventato papà. A breve poi nascerà un altro nipotino che avrà il mio nome. E poi non sono uno che si abbatte facilmente. Ho deciso di dedicarmi al mio lungometraggio Il colore del dolore, ma farò affidamento su maestranze locali, mentre la città è piena invece di produzioni romane che sfruttano il territorio».
Non si può dire che a Benigno manchi la forza di volontà. A marzo, ad esempio, apre la sede dell’associazione culturale Mery per sempre, in piazza XIII Vittime. Un’esperienza che però dura solo sei mesi: «Ho dovuto chiudere perché non ho avuto le attenzioni da parte della giunta comunale, e in città non c’è la cultura di un ufficio ad hoc per il cinema. Sono certamente dispiaciuto, ma sono più forte di prima e lotterò».
Al momento l’attore punta molto sul suo mediometraggio Scintilla, che dopo la proiezione di sabato punta a coinvolgere presidi e docenti di diversi licei ed istituti della città, perché «è una denuncia sociale che tutti i giovani dovrebbero vedere». E per il futuro cosa si prospetta? «Ho provato più volte a convincere Risi a tornare a occuparsi di noi ragazzi fuori, magari raccontando la nostra crescita. Abbiamo tantissima gente che ci vuole bene e che non ci dimentica e vorrebbe vederci di più. Nel caso in cui non dovessi farcela me ne andrò da Palermo e tornerò per le nuove elezioni. Sono sicuro che questa volta il sindaco sarà Ferrandelli. E io sono per il perdono».