Il premio Federichino al registra e scrittore Roberto Andò

LA PREMIAZIONE NELLA SALA GIALLA DI PALAZZO DEI NORMANNI

di Ivan Scinardo

La Sala Gialla di Palazzo dei Normanni, a Palermo, ha fatto da cornice alla XIV edizione del Premio “Federichino”, promosso dalla Fondazione Federico II di Palermo, diretta da Francesco Forgione, dalla Fondazione di Jesi, rappresentata da Fabio Costantini, e la Gesellschaft für staufische Geschichte e. V. di Göppingen. Al tavolo dei relatori, anche il vice presidente dell’assemblea regionale siciliana e il vice segretario generale rispettivamente Antonio Venturino e Salvatore Pecoraro.

La cerimonia, moderata da Gianfranco Zanna, ha visto la premiazione del sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, dei docenti delle università di Bologna e Napoli, Laura Trombetti ed Errico Cuozzo, e dello scrittore e regista teatrale e cinematografico Roberto Andò. Un premio che si rinnova grazie alla sintonia con la Fondazione Federico II Hohenstaufen di Jesi nata per una intuizione di uno studioso di Federico II, l’Avvocato Gino Borgiani, che aveva notato come Jesi, città natale dell’imperatore, non avesse reso i giusti onori.

Toccante la testimonianza del primo cittadino di Lampedusa, introdotta magistralmente dallo scrittore Davide Camarrone, che, per Sellerio, ha pubblicato il libro dal titolo “Lampaduza”, come la pronunciano i migranti, quando la vedono all’orizzonte come meta di libertà. Al direttore generale del dipartimento turismo della Regione siciliana, Alessandro Rais, grande esperto di cinema, gli è stato chiesto da Francesco Forgione di presentare la carriera di Robertò Andò. La tratteggia con la sapienza e l’esperienza di un critico; e gli viene in mente il di film Carlo Mazzacurati del 2007 “La giusta distanza”, intesa non come lontananza, distacco, freddezza o estraneità, ma consapevolezza dello spazio e della necessità di aggiustarlo di volta; la capacità di trovare il giusto respiro e le misure, di cercare una relazione con l’oggetto della propria attenzione.

Rais ricorda gli esordi di Andò con il testo “Diario senza date” del 1995 e poi il “Trono vuoto”, fortunatissimo libro che fa da traccia di sceneggiatura per il capolavoro interpretato da Tony Servillo, in “Viva la libertà”. E a proposito di gestione degli attori, Alessandro Rais, ritorna sul concetto di giusta distanza che significa anche senso profondo cinematografico dell’inquadratura, della ricerca del punto di vista, della consapevolezza dello spazio e anche della durata.

Nel film Andò sperimenta la distanza e il giusto rapporto con l’attore Servillo, evidenziando come quello che viene considerato oggi il migliore attore italiano sia stato contenuto e controllato nel lavoro registico. Ricorda poi le tracce filmiche “Palermo Shooting” di Wim Wenders, i cortometraggi degli anni di ‘50 di Vittorio De Seta e il film “Enzo, domani a Palermo!” di Ciprì e Maresco.

L’introduzione al premio di Andò si conclude con il ricordo della declinazione dell’invito alla direzione artistica del teatro Biondo, e l’accettazione della proposta, da parte di Presidente e Preside della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia Stefano Rulli e Caterina d’Amico, di assumere la direzione didattica della scuola di cinema documentario di Palermo.

La conclusione fragorosa di Alessandro Rais in cui dice a Roberto Andò: “I premi, adesso, diventano tanti, letterari e cinematografici, le alternative sono due: o fai come Godard che i premi non li va più a ritirare o ti toccherà spiazzarci di nuovo”.

La replica di Andò dal podio e con il premio in mano: “E’ una festa ritrovarsi qui in questo luogo che mette un certo imbarazzo. Voglio essere franco, questo per me è il segno di riconoscimento di una comunità. Entrando qui mi sono ricordato che alcuni anni fa mi hanno chiesto di immaginare un documentario per festeggiare l’Assemblea regionale siciliana; e io risposi: se volete facciamo un funerale!”.

Intenso e breve l’intervento incentrato sul rapporto complesso tra volto e maschera, quello che domina il film “Viva la libertà”. E il desiderio da parte del politico di non essere fissato in una maschera, ma che diventa purtroppo inevitabile”.

 

 

 

 

 

 

 


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