Il piano di riequilibrio economico spiegato bene Cos’è il documento contabile al voto in Consiglio

Alle 19 di oggi comincia la maratona di tre giorni per l’approvazione del nuovo piano di riequilibrio economico del Comune di Catania. Un documento contabile del quale si parla da febbraio: da quando, cioè, l’amministrazione ha annunciato di volersi avvalere della possibilità – offerta dalla legge di stabilità 2016 – di rimodulare il riassestamento delle proprie casse. La questione, in realtà, è un po’ più complicata di così, perché riguarda anche la precedente amministrazione, quella guidata da Raffaele Stancanelli. Adesso la giunta di Enzo Bianco interviene su quanto fatto da chi lo ha preceduto e lo fa sulla base di un’aggiornata – e peggiorata – situazione complessiva delle casse municipali. MeridioNews prova a spiegare in modo semplice di cosa si parla e in che modo questo documento incide sulla vita cittadina.

Che cos’è un piano di rientro?
È una procedura. Quando le casse di una pubblica amministrazione non sono in equilibrio – cioè ci sono più uscite rispetto alle entrate – si verifica una condizione che tecnicamente si definisce di disavanzo. I Comuni a fine anno hanno l’obbligo di chiudere i bilanci in pareggio: tante entrate quante uscite. Se si spendono ogni anno più soldi di quanti se ne incassino, il disavanzo si accumula. I soldi che si incasseranno in futuro, quindi, serviranno a pagare prima i debiti del passato. E, solo dopo, i costi necessari a offrire i servizi ai cittadini. In queste condizioni non è necessario dichiarare il dissesto economico-finanziario (l’equivalente pubblico del fallimento delle aziende private: solo che i privati escono dal mercato, un Comune non può sparire). Nella speranza di evitarlo si avvia la procedura di «rientro dal disavanzo» e il Comune entra in uno stato di pre-dissesto. A questo punto interviene lo Stato: presta ai Comuni i soldi necessari a coprire il disavanzo, prendendoli da una sorta di cassa dedicata che si chiama Fondo di rotazione. Il prestito deve essere rimborsato allo Stato in dieci annisenza interessi. Lo Stato, però, accorda il prestito solo dopo che il Consiglio comunale ha votato un documento in cui si impegna a ridurre le uscite e aumentare le entrate. Il piano di rientro è questo documento.

Quand’è che il Comune di Catania ha deliberato la procedura di rientro dal disavanzo?
Nel 2013. La giunta era quella guidata dall’ex sindaco Raffaele Stancanelli e il consiglio comunale l’ha votato tra gli ultimi atti della passata consiliatura. Attestando il grave disavanzo delle casse di Palazzo degli elefanti. Il nuovo consiglio comunale – eletto quello stesso anno – ha completato la procedura di approvazione. In questo modo, il piano di rientro era stato preparato dalla giunta di Stancanelli e «adottato» da quella attuale, guidata da Enzo Bianco.

Perché se ne parla in questo momento?
Tra gli obblighi da rispettare dopo avere avuto accesso alla procedura di rientro dal disavanzo c’è anche quello di presentare una relazione ogni sei mesi. Una sorta di «stato di avanzamento dei lavori», per controllare che gli impegni assunti vengano rispettati. Negli ultimi anni, le relazioni semestrali hanno certificato l’incapacità di Palazzo degli elefanti di mantenere le promesse fatte allo Stato. Ma siccome non si trattava dell’unico Comune in Italia in condizioni simili, il governo ha aggiunto – a dicembre dello scorso anno – alla legge di stabilità 2016 un emendamento salvifico. Che permetteva alle amministrazioni di rimodulare i propri piani di riequilibrio entro il 30 giugno 2016 e di cambiare le promesse fatte, per renderle più aderenti alle proprie capacità. Un’opportunità che la giunta non si è lasciata scappare. La scadenza di giugno sembrava fino all’ultimo non essere alla portata degli uffici comunali: finché non è intervenuto il cosiddetto salva-Catania, un decreto legge nazionale che spostava la scadenza per la rimodulazione al 30 settembre 2016. Cioè il prossimo venerdì.

Quanto vale il nuovo piano di rientro?
Il totale delle risorse economiche necessarie per riequilibrare i conti è pari a 778 milioni 241mila euro. Che sono la somma dei risparmi promessi e dei maggiori incassi sperati.

Come incide il piano di rientro nella vita quotidiana dei cittadini?
Il rientro serve a recuperare le risorse necessarie a ripianare il disavanzo e a pagare il debito con lo Stato nei prossimi sette anni. I primi tre – dei dieci complessivi – sono già passati, considerando che il piano attualmente in vigore è stato approvato nel 2013 e quelle di questi giorni sono solo alcune modifiche. Tutte le azioni che il Comune ha immaginato per salvare le sue casse hanno immediate ripercussioni sulla vita dei singoli cittadini e sul patrimonio pubblico.

Il caso più eclatante è quello delle alienazioni dei beni immobili, già previste nel piano originale e adesso confermate. In altri termini, edifici pubblici che vengono venduti ai privati per fare cassa. La giunta stima che si venderanno, entro il 2023, quasi 47 milioni di euro di strutture comunali. Tra le quali, per citarne un paio, potrebbero esserci anche il teatro Coppola e villa Fazio. Ma quella è una stima realistica? Nel 2013 si pensava che si sarebbero venduti immobili per quattro milioni di euro, ma non si è venduto niente. Nel 2014 si stimava la stessa cifra dell’anno precedente, e si sono venduti beni per 197mila euro. Nel 2015 si dovevano vendere altri quattro milioni di euro, e si è venduto zero. Nel 2016 si prevedono due milioni di euro, corrispondenti al prezzo di vendita all’asta di Palazzo Bernini (a cui vanno tolte, per esempio, le spese legali). Nel 2017 si stima di vendere beni per 9,7 milioni di euro, sei milioni di euro si dovranno vendere nel 2018, cinque milioni nel 2019, 15,5 milioni nel 2020, sette milioni nel 2021, un milione e mezzo nel 2022. Speranze che si dovrebbero sostenere su incassi che negli ultimi anni sono stati pressoché nulli.

L’alienazione della rete del gas è un’altra misura rilevante. Si tratta, nel complesso, di 60 milioni di euro che dovrebbero derivare dalla vendita delle condotte prima dal Comune all’Asec e poi dall’Asec ai privati. La principale criticità deriva dall’importo che è stato inserito nel piano. Come fatto notare dal collegio dei revisori, l’importo che è stato inserito è stato stabilito dallo stesso Comune e non da un organismo imparziale come prevede la legge. Il potenziale scostamento potrebbe valere diversi milioni di euro. Ma anche di questi importi non v’è certezza. Nel caso fosse certificato che la rete del gas valga molto meno, il banco del piano di riequilibrio salterebbe di nuovo, nelle relazioni semestrali sarebbe evidente e Palazzo degli elefanti andrebbe in default.

Stesso discorso vale per i cinque milioni 250mila euro che la giunta pensa di recuperare dalle società partecipate. Che però dal 2013 a oggi non hanno prodotto nessun utile. E che magicamente dovrebbero produrre 250mila euro all’anno nel 2017, e un milione di euro l’anno dal 2018 al 2022. Tra le partecipate comunali ricordiamo che c’è anche l’Amt, un’azienda sull’orlo del baratro finanziario, costretta a tagliare le corse – e dunque i servizi ai cittadini – per l’impossibilità di aggiornare il proprio parco vetture a causa proprio della profondissima crisi economica in cui versa. E che dipende anche dai crediti che aspetta di incassare dal Comune di Catania

Altri soldi questa amministrazione conta di guadagnarli da un più efficiente servizio di riscossione dei tributi comunali. Facendo un esempio concreto: l’Imu, la tassa sugli immobili che ha sostituito la vecchia Ici, non può essere più aumentata perché a Catania l’aliquota che si applica è la massima consentita a livello nazionale. Quindi come si pensa di incassare di più? Cercando in modo più efficace gli evasori, pagando un’azienda esterna che si occupi di trovarli e farli pagare il dovuto. Ma anche questa non è un’entrata certa, al contrario di quanto viene previsto dall’amministrazione. E, anzi, potrebbe trasformarsi in un costo (quello del contratto coi privati).

Come influiscono queste entrate così dubbie sulla tenuta di questo piano di rientro?
In maniera sostanziale. Se saltassero le misure che riguardano l’intervento di soggetti terzi (i privati che acquistano gli immobili comunali, la rete del gas o che bacchettano gli evasori fiscali di Catania) e non si raggiungessero gli obiettivi previsti, il piano di riequilibrio non sarebbe rispettato. A certificarlo dovrebbe intervenire la Corte dei conti, che già nel 2016 non è stata gentile con la giunta Bianco. A meno di nuovi decreti legge che tirino fuori Catania dal pantano, il mancato concretizzarsi di misure – non direttamente dipendenti dall’attività amministrativa – costringerebbe il Consiglio comunale a dichiarare il dissesto di Palazzo degli elefanti. Un crack che significherebbe, per citare due conseguenze immediate, tagli nei servizi e abbattimento dei crediti di chi ha lavorato col Comune: le imprese creditrici potrebbero perdere più del 50 per cento di quanto avanzano, col rischio che si inneschi un meccanismo di fallimenti a catena.


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