Il Miur e l’omissione degli scrittori del Sud Il M5S: «Integrare le Indicazioni per i licei»

La questione meridionale è un capitolo ancora caldo della storia politica italiana, e rimane evidentemente una pagina aperta anche sui manuali di letteratura. Almeno stando al dibattito scaturito dalle Indicazioni nazionali per i licei, che dal 2010 sostituiscono i vecchi programmi ministeriali e alimentano una polemica sulla provenienza degli autori ritenuti maggiori. Il documento è stato, infatti, tacciato da più parti di aver rimosso e cancellato dalla memoria degli studenti italiani autori della portata di Sciascia e Bufalino, perchè meridionali. La più recente tappa dell’affaire è la risoluzione presentata la scorsa settimana alla Camera dalla deputata del Movimento 5 stelle Maria Marzana, segretaria della commissione Cultura, scienza e istruzione.

Rosolinese, laurea in Scienze della formazione e docente precaria nella scuola primaria, Marzana intende «riportare fra i banchi gli autori del Sud cancellati dalle Indicazioni di Mariastella Gelmini» e crede sia giunto il momento di «risolvere, almeno nella letteratura del ‘900, l’annosa questione meridionale». A far ben sperare, secondo l’onorevole grillina, ci sarebbe una retromarcia messa in atto dall’attuale ministro Stefania Giannini, attestata dal nome di Quasimodo fra le tracce della prima prova della maturità 2014. E così, i componenti pentastellati della VII commissione forniscono una stima precisa dei minori da integrare nelle Indicazioni: gli scrittori meridionali taciuti sarebbero 17, a cominciare da Bufalino, Vittorini, Sciascia, Rea, Quasimodo, Serao e Ortese.

Il testo delle Indicazioni nazionali si mantiene identico per i vari indirizzi liceali, giudica «imprescindibile» Verga e «non eludibile» Pirandello. Ad essere incriminata è però la geografia interamente settentrionale tracciata dalle righe che setacciano la produzione del XX secolo, che citano «le esperienze decisive di Ungaretti, Saba e Montale» e suggeriscono «testi scelti tra quelli di autori della lirica coeva e successiva (per esempio Rebora, Campana, Luzi, Sereni, Caproni, Zanzotto, …)». Sul versante della narrativa, il ministero consiglia letture da «autori significativi come Gadda, Fenoglio, Calvino, P. Levi», ma precisa che sarà possibile integrare altri autori: «per esempio Pavese, Pasolini, Morante, Meneghello…».

La Commissione di studio sulle Indicazioni non sembra in effetti trovare esempi meridionali a portata di mano, e si premura di disambiguare il cognome Levi a discapito dell’autore di Cristo si è fermato a Eboli. Ma ad attenuare il carattere discriminatorio del canone così ottenuto c’è la natura dichiaratamente non prescrittiva del documento, che, nella scuola dell’autonomia, mira ad assicurare il più ampio spazio alla libertà didattica del docente. Malgrado ciò, la preoccupazione espressa da Marzana, e precedentemente manifestata anche dal Centro di documentazione sulla poesia del Sud, è quella che le indicazioni vengano seguite alla lettera dalle case editrici. Il risultato, in quest’ottica, potrebbero essere libri di testo che non trattano gli autori rimossi e professori ancorati al manuale.

Eppure, fra gli umanisti la questione meridionale sembrava risolta. Se già negli anni ’60, Carlo Dionisotti – che oltre ad essere uno dei maggiori critici della nostra letteratura era anche un piemontese verosimilmente imparziale – argomentava il cospicuo numero di scrittori meridionali protagonisti della produzione del Novecento parlando di una vera e propria «rivoluzione meridionale».

Niente preoccupazioni e nessuna interpellanza, invece, per la rimozione di un non meridionale dal programma di studio del concorso a cattedra bandito dal Miur nel 2012. All’aspirante docente di letteratura si richiedeva la conoscenza approfondita – tra gli altri – di Verga, Pirandello, Quasimodo, Vittorini e Sciascia. Nessuna traccia di Pier Paolo Pasolini in quella lista, ragionevolmente prescrittiva.


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