Quando, proveniente da Catania arrivai a Milano, mia madre per circa un anno e mezzo mi telefonava quasi tutte le sere battendo sempre sullo stesso tasto: «Salvatore, ma come fai adesso che non puoi dormire dopo mangiato?». Mi arrampicavo sugli specchi e le dicevo che a pranzo, mangiando veramente poco, quella sonnolenza brancatiana non scattava. Allora mia madre veniva assalita da un’altra preoccupazione: «Salvatore, ma non è che mangiando così poco, poi, per la debolezza ti gira la testa?». E io le dicevo che no, al contrario, quella leggerezza di stomaco mi dava più lucidità e lavoravo meglio. In realtà ho provato disagio e spesso aperta avversione per le insalatone e le fette di bresaola annaffiate dall’acqua minerale; le ho sempre inventate tutte pur di sottrarmi alla malinconia della pausa impiegatizia e godermi un vero pranzo. Il lutto per la dismissione della dormita pomeridiana non è stato del tutto elaborato, lo porto ancora adesso. Quando vivevo con più stabilità a Catania evitavo con cura di accettare inviti a pranzo da gente presso la quale non avrei potuto fare il sonnellino postprandiale.
Certo, quando il terziario è così avanzato, come accade a Milano, anche la distanza da casa diventa troppa e non si può tornare per pranzare in grazia di dio. Saranno state difficoltà di questo genere a fare scattare nel professor Franco Cassano tutte quelle teorie così affascinanti e confortevoli sul pensiero meridiano e la lentezza. Forse il grado di avanzamento del terziario e dell’intera società si misura anche dalla civiltà che viene infusa nella pausa di pranzo. Quella pausa che il ministro Rotondi non fa: gli pare una perdita di tempo, un attentato all’efficienza. Perché, mi chiedo, va rispettata, nelle banche, nelle farmacie e nelle strutture pubbliche, la linea gialla, la vistosa demarcazione tra pubblico e privato? E perché questo rispetto deve essere abolito e l’intimità di milioni di persone con le loro legittime esigenze fisiologiche, dev’essere oltraggiata dal beffardo e ridanciano ministro? Non si capisce.
Alla pausa pranzo, specialmente dove il terziario è rimasto confortevolmente arretrato, aggiungerei la dormita pomeridiana: distende, rigenera, spezza la giornata idealmente in due (quindi non riduce ma moltiplica il tempo utile). Credo che attecchirebbe anche al Nord. Con l’esperienza e la pratica costante della dormita pomeridiana si sondano profondità abissali: si sogna due volte, oltre che di notte, anche di pomeriggio. Dovrebbe provare, il ministro, a stendersi un po’ dopo mangiato: addormentandosi forse sognerebbe di diventare uno dei Simpson.
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