Il grande imbroglio di Girgenti Acque

Dall’ex sindaco di Racalmuto
Salvatore Petrotto,
riceviamo e volentieri pubblichiamo

L’affaire acqua nella provincia più assetata d’Italia, quella di Agrigento, si consuma all’ombra dei Templi, ma soprattutto delle pubbliche istituzioni, a partire dal dicembre 2007. E precisamente da quando l’avvocato Gaetano Armao, attuale assessore regionale all’Economia, viene chiamato ad esprimere un parere legale sulla controversa aggiudicazione del servizio idrico integrato nei 43 Comuni della provincia di Agrigento ad una società per azioni, denominata Girgenti Acque.
Acque, fogne ed impianti di depurazione nell’Agrigentino, da quel dannato momento, dovevano diventare il business del secolo. Il valore dell’affare, in termini di guadagni netti, da realizzare ai danni dei cittadini agrigentini, è stimato in non meno di un miliardo di euro! L’azienda che è stata creata all’occorrenza per ‘pilotare’ questa operazione è era un mix, un miscuglio cioè, di aziende private e di enti pubblici.
Ne fanno parte anche alcuni Comuni, come Agrigento, Favara, Aragona, Raffadali ed altri Comuni del consorzio pubblico Voltano, oltre che una società catanese denominata Acoset, anch’essa, con al suo interno, enti pubblici e privati. Insomma, si tratta di una società mista, peraltro squattrinata, senza la necessaria solidità economica, per affrontare la grande sfida: la gestione, per un terzo di secolo, di tutti i servizi idrici dell’Agrigentino.
Girgenti Acque si sarebbe dovuta occupare della captazione e distribuzione dell’ acqua potabile, della gestione e del rifacimento delle reti idriche e fognarie, della costruzione dei depuratori per le acque reflue e della messa in funzione di quelli esistenti.
In quattro anni nulla di tutto quanto previsto nel contratto di gestione, sottoscritto dall’Ato idrico di Agrigento e Girgenti Acque è stato realizzato. Anzi, nelle case, spesso, arriva acqua inquinata, mentre il mare di San Leone, la località balneare della città dei Templi, è tra i più inquinati d’Italia, a causa della mancata depurazione delle acque. Un disastro. Tant’è vero che è sorto una grande movimento pubblico, denominato il “Comitato degli Inquinati Agrigentini”, per perorare la causa dell’attivazione del depuratore di Agrigento. Tale movimento, più o meno inspiegabilmente, incontra delle comiche e paradossali resistenze di un noto ambientalista agrigentino, il consigliere comunale di Agrigento e componente della direzione nazionale di Legambiente, Giuseppe Arnone. Quest’ultimo difende l’indifendibile: e cioè Girgenti Acque che, da quattro anni, continua ad inquinare il litorale agrigentino ed a distribuire acqua inquinata dentro le case.
Le bollette, nell’Agrigentino, sono tra le più care d’Italia. Le reti idriche continuano a perdere più del 50 per cento dell’acqua che esce dai serbatoi, con gravi carenze nella distribuzione. Su tali reti, per il loro rifacimento, come previsto da contratto, non è stato speso un solo centesimo. Nulla si è visto dei 120 milioni di euro relativi ai finanziamenti europei, già previsti dal programma denominato Agenda 2000 (Programmazione 2000-2007).
A questi finanziamenti, Girgenti Acque, avrebbe dovuto sommare, come da contratto, una sua compartecipazione del 30 per cento, cosa che puntualmente, dopo quattro anni non è avvenuta. Insomma, alle gravi inadempienze contrattuali di Girgenti Acque, vanno sommati anche i disastri ambientali causati nelle coste agrigentine, con gravissimo nocumento per la salute dei bagnanti.
Sul mare inquinato di San Leone, già da qualche anno, le polemiche si sprecano. Spesso capita che, in maniera scorretta, non viene ufficialmente comunicato che il mare, a seguito delle analisi effettuate, non solo è inquinato, ma rappresenta una seria minaccia per la salute pubblica. Ed è stato proprio l’insigne avvocato Armao, a dare il là,
nel dicembre del 2007, alla stipula di quel tanto contrastato contratto firmato per conto, dell’Ato idrico di Agrigento, dall’allora presidente della Provincia, l’attuale deputato nazionale del Pdl, Enzo Fontana (vicinissimo all’ex ministro Angelino Alfano) e da Giuseppe Giuffrida, amministratore delegato di Girgenti Acque e dell’altra società, la già citata Acoset.

Il conflitto di interessi
In questa storia non manca il conflitto d’interesse. Sono oltre venti i sindaci agrigentini che presentano ricorso contro la stipula di un contratto capestro per trent’anni che consente un’insolita aggiudicazione di un servizio pubblico. In altri termini, alcuni Comuni se la cantano e se la suonano in pieno conflitto d’interessi! Tra questi, il comune capoluogo Agrigento e gli altri enti locali facenti parte del consorzio pubblico Voltano che, a sua volta, fa parte di Girgenti Acque. Mentre tutti quanti assieme fanno parte dell’Ato idrico, cioè della struttura organizzativa che ha indetto la gara d’appalto.
Un sistema di scatole cinesi che ha consentito alla città di Agrigento ed ai Comuni del Voltano di auto aggiudicarsi, in pieno conflitto d’interessi, una gara che loro stessi avevano indetto, in quanto componenti dell’Ato stesso! E’ come se, oggi, l’avvocato Armao firmasse, proprio a seguito di un suo parere, una delibera di aggiudicazione alla metà della giunta regionale di cui egli fa parte di un servizio pubblico del valore di qualche miliardo di euro la cui gara d’appalto è stata indetta dalla stessa giunta regionale!

… e volarono via 300 mila euro…
Giuseppe Giuffrida è l’amministratore delegato di Acoset e di Girgenti Acque (della quale fa parte la stessa Acoset). Il Giuffrida, candidamente, ebbe a dirci, nel 2008 che, per ‘chiudere’ l’operazione, avrebbe sborsato, per conto delle società che rappresentava, qualcosa come 300 mila euro. Possibile? E nelle tasche di chi sarebbero finiti questi soldi? Per pagare chi? Va detto che in, quegli anni, in Sicilia non mancavano certo avvocati amministrativisti che incassavano certe mega parcelle con la ‘benedizione’ della politica.
In questi quattro anni di gestione dell’acqua, andata in scena senza la concessione regionale per prelevare l’acqua dalle fonti di approvvigionamento, Girgenti Acque ha dovuto rifornirsi presso due altri consorzi pubblici: Sicilacque (altra società dove la Regione siciliana ha una partecipazione di minoranza) ed il consorzio Tre Sorgenti di Canicattì, quest’ultimo costituito interamente da sette Comuni. Entrambe titolari di regolare concessione, sia Sicilacque che il consorzio Tre Sorgenti, devono ancora ricevere da Girgenti Acque qualcosa come 30 milioni di euro, al punto che hanno dovuto fare ricorso ai Giudici Civili che, con tanto di emissione di decreti ingiuntivi, ha riconosciuto tale gravissima situazione debitoria di Girgenti Acque!
C’è di più. Girgenti Acque ha avuto al proprio interno anche due società, una campana ed una sarda, alle quali è stato negato il rilascio della necessaria certificazione antimafia. Addirittura si è scoperto che il titolare della società sarda era figlio del titolare della società campana. Società, quest’ultima, caldeggiate da un alto funzionario dello Stato che, inizialmente, aveva assunto posizioni critiche nei confronti dell’aggiudicazione della gestione dei servizi idrici integrati in provincia di Agrigento, perché, come dicevamo, avvenuta in pieno conflitto d’interesse. Poi, però, più o meno inspiegabilmente, tale alto funzionario, non più operante ad Agrigento, cambia idea.
Come già accennato, 30 milioni di euro di debiti sono stati riconosciuti dai Giudici Civili al Consorzio Tre Sorgenti di Canicattì ed a Sicilacque. Riguardo alla mancata consegna degli impianti e del patrimonio, sempre da parte del Consorzio idrico Tre Sorgenti di Canicattì, il Tar ha riconosciuto tale scelta del tutto legittima. Recentemente, anche all’ultimo commissario regionale inviato dalla Regione siciliana per consegnare gli impianti di proprietà del Consorzio Tre Sorgenti di Canicattì a Girgenti Acque, l’architetto Giuseppe Taverna, è stato impedito l’ingresso negli uffici consortili, e quindi il suo insediamento, attraverso un sit-in di protesta.
Tutti i sindaci si sono presentati a quel sit in, con in mano un ulteriore ricorso, contro questa illegittima eventuale consegna degli impianti e del patrimonio del Consorzio. Sempre nel corso del sit in sono stati esibiti i decreti ingiuntivi per oltre 8 milioni di euro, riconosciuti dai giudici al consorzio Tre Sorgenti di Canicattì, ed i ricorsi vinti dallo stesso consorzio contro la tentata espropriazione da parte di Girgenti Acque.
Siamo al paradosso: Girgenti Acque anziché pagare le ingenti somme dovute ai Comuni interessati, a seguito dei pronunciamenti dei Giudici Civili, avrebbe voluto andare oltre, violando anche quanto previsto dalle recenti normative, in materia di pubblicizzazione dell’acqua, a seguito del plebiscitario risultato ottenuto nel recente referendum a favore dell’acqua pubblica. Resta da capire, in questa storia, quel è il ruolo svolto dall’attuale governo regionale.

Il vero volto di Girgenti Acque
Ecco, allora, il vero volto di Girgenti Acque: una società che non ha i requisiti previsti dalla legislazione antimafia e debitrice di oltre 30 milioni di euro nei confronti di numerosi enti pubblici. Una società che si è aggiudicata, in pieno conflitto d’interesse ed avvalendosi, nelle maniera che abbiamo spiegato, di un contorto e controverso parere legale rilasciato dall’avvocato Gaetano Armao, attuale assessore regionale in Sicilia. Una società rappresentata attualmente da un amministratore delegato raggiunto da una condanna definitiva per reati contro la pubblica amministrazione. Una società, insomma, che si è caratterizzata per disservizi gestionali, per i mancati investimenti previsti, per violazioni contrattuali e per la presenza, al proprio interno, di società che violano la legislazione antimafia. Per non parlare, poi, della grave situazione debitoria.
Il Giuffrida, in maniera maldestra, ha tentato, avvalendosi di intercettazioni ambientali, di bloccare l’azione di chi lo aveva denunciato, nel 2008, in tutte le sedi civili, amministrative e penali. Ha tentato anche di fare materialmente arrestare coloro i quali lo avevano denunciato. Tutto ciò si evince dal pronunciamento del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, Alberto D’Avico.
Paradossalmente, in maniera assai chiara ed evidente, proprio nelle stesse intercettazioni prodotte dal Giuffrida, ci sono chiare e lampanti prove dei suoi tentativi di corruzione, posti in essere nei confronti degli amministratori pubblici che lo avevano denunciato. Questo soggetto ha teso più di un tranello, cercando di mettere in difficoltà alcuni sindaci e l’allora presidente del Consorzio Tre Sorgenti di Canicattì, l’avvocato Calogero Mattina, i quali lo avevano denunciato in sede penale, civile ed amministrativa.
Per consumare la sua vendetta e sviare il corso delle indagini, al fine di difendere i suoi illegittimi interessi, economici e non solo, così come sentenziato da più di un giudice, Giuffrida, nel 2008, presenta una denuncia contro due sindaci, quello di Licata e quello di Racalmuto (cioè contro l’autore di questo articolo) e l’allora presidente del Consorzio Tre Sorgenti, l’avvocato Calogero Mattina.
Il risultato è che il 18 gennaio del 2012, cioè tra qualche settimana, verrà emessa una prima sentenza dal Tribunale di Agrigento, nel corso di un’udienza, davanti ad un Giudice Monocratico. In quel giorno ed in quella sede si dovrà stabilire l’esatto profilo di questo personaggio, ovvero Giuseppe Giuffrida, venuto da Catania ad Agrigento per consumare l’affaire del secolo, quello dell’Acqua, proprio nella provincia più assetata d’Italia. Affare che ad oggi sembra solo un vistoso ed intricato imbroglio pirandelliano, ordito da un uomo che, in un batter d’occhio, nel giro di poco più di un anno, è stato defenestrato dalle società di gestione dei servizi idrici di Catania e da quella di Agrigento.
Forse non pochi sono stati i demeriti di quest’uomo, che dall’Est all’Ovest, avrebbe voluto conquistare l’intera Sicilia! Facendo leva sulla sete, non solo d’acqua, ma di denaro e di posti di lavoro, ha agito a colpi di illegittimità amministrative, di denunce temerarie e di violazioni della legislazione antimafia.
Ora Giuffrida è pur sempre difeso, chissà perché, dal presidente di Confindustria Agrigento, Giuseppe Catanzaro, proprietario della più grossa discarica di rifiuti solidi urbani che c’è in Sicilia. Discarica, lo ricordiamo, strappata al Comune di Siculiana. Una brutta storia fatta di denunce poi rivelatesi palesemente calunniose a seguito di una irrevocabile sentenza della Magistratura. Ma questa è un’altra storia.

 


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