Il grande imbroglio delle agenzia di rating

Gli sforzi per condurre una vita dignitosa di centinaia di milioni di persone nel mondo sono resi vani dalle agenzie di rating senza che i quattro quinti della popolazione europea e l’ottanta per cento degli italiani sappia esattamente cosa siano (ricerca europea Eurobarometro).

Qualche mese fa i giornali hanno pubblicato la notizia che la Francia è stata declassata dagli esperti di Moody’s ad ”Aa1”. Le conseguenze economiche e finanziarie per il Paese di Hollande non sono state da poco. Nello stesso momento l’agenzia di rating americana si è espressa anche sul sistema bancario italiano, sottolineando che il futuro rimane “fosco” a fronte di perduranti criticità e che “l’Italia è ormai fuori dal giro de grandi Paesi europei e dovrebbe prepararsi ad affrontare la recessione”, anche per colpa di tutte quelle misure di austerità pensate per sanare il debito. La maxi manovra del governo Monti è stata giudicata “troppo difficile da mettere in pratica” e il rating sul debito pubblico è sceso da A- a BBB. (foto sopra, tratta da businesspeople.it)

Queste indicazioni seguono quella dei mesi scorsi, quando anche il rating di Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi era stato abbassato. Le agenzie di rating parlano spesso di “problemi strutturali che influenzano in modo negativo le prospettive di crescita economica a lungo termine”, di “calo di competitività” e di “rigidità del mercato del lavoro e dei servizi” e la conseguenza sono shock finanziari di portata storica.

Ma pensano mai alle conseguenze delle valutazioni negative per coloro i quali le ricevono? Innanzitutto, in base a questa valutazione i francesi e gli italiani dovranno pagare più tasse. Il giudizio (in termini tecnici il rating”), è l’elemento chiave ed è legato agli interessi che un soggetto, come a d esempio uno Stato, una banca o un’impresa, è costretto a pagare ai propri creditori. Ad esempio, a metà di Ottobre Moody’s ha ridotto il rating di Monte dei Paschi di Siena di due gradini, portandolo a “Ba2? da “Baa3? (“livello spazzatura“). La conseguenza di questa declassazione è stata che l’aiuto pari a 1,5 miliardi di euro concesso da parte del Governo italiano non è più sufficiente e la banca dovrà fare ricorso ad un ulteriore aiuto esterno da parte dell’Italia o dell’Unione Europea (con ulteriori costi per i contribuenti e sperpero di denaro, vista l’inutilità degli aiuti concessi sino ad ora). (sopra, a destra, foto tratta da dirittodicritica.com)

Ma chi è Moody’s per dire qual è la situazione del nostro e di tutti i Paesi del mondo e, soprattutto, per quale motivo la sua valutazione è così ascoltata?

In pratica, Moody’s (insieme con una o due tra le maggiori società di gestione del risparmio americane) viene “ingaggiata” (ma spesso la valutazione viene fatta senza che sia stata richiesta, per i motivi che vedremo più avanti) per giudicare i bilanci di banche, società quotate, Stati, ma anche imprese e pubbliche amministrazioni, in base a una scala di valori che va dalla A alla D, una sorta di “pagella” che indica la capacità di un soggetto (che sia una banca, una società, un bond o altro poco importa) di ripagare i propri debiti.

Inutile dire che, in un mondo in cui le Borse e l’economia stessa sono diventate “rating dipendenti”, il potere di queste agenzie è diventato enorme, tanto più che, di fatto, due agenzie, entrambe (casualmente) americane, (Moody’s e Standard&Poors) gestiscono circa l’80% del mercato del “rating”.

E chi sta dietro le agenzie di rating? Per assurdo che possa sembrare, le persone che di fatto gestiscono questo sistema si contano sulle dita di due mani. Ad esempio, Capital World Investment è, contemporaneamente, il primo azionista di Standard & Poor’s (detiene il 10,26% della casa madre McGraw Hill) e il secondo maggiore socio di Moody’s (con il 12,60%) che, in una condizione di libero mercato, dovrebbe essere un concorrente. Ma a Capital World Investment non importa: ha comprato 28 milioni di azioni della prima e 30 milioni della seconda.

Azionista di maggioranza di Moody’s è, con il 12,42%, la Berkshire Hathaway di proprietà di Warren Buffett (foto a sinistra, tratta da skyrocketseo.co.uk), noto come “l’oracolo di Omaha”, colui il quale, nel 2008, dopo il balzo in borsa di Berkshire Hathaway e grazie a una serie di investimenti “fortunati”, con un patrimonio stimato di 47 miliardi di dollari, è diventato l’uomo più ricco del mondo, superando Bill Gates.

Al secondo posto tra i proprietari di Moody’s, con il 10,5%, si pone Fidelity uno dei più grandi gestori di fondi del mondo.

In realtà, quindi, chi controlla le agenzie di rating (Berkshire Hathaway, State Street, BlackRock, Vanguard, Invesco, Morgan Stanley Investment e pochi altri) vive (e prospera) comprando e vendendo titoli il cui valore nel mondo cambia grazie alle valutazioni delle agenzie di cui è proprietario.

Ad esempio, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, lo scorso anno aveva affermato che “l’America è, è stata e sarà sempre” un Paese da tripla A. E Moody’s, pur annunciando una possibile riduzione del rating e pur dovendo ammettere che gli USA hanno un outlook negativo, ha premiato gli Stati Uniti definendolo un “Paese con la massima affidabilità”, tralasciando il fatto che il debito pubblico degli USA è ai massimi storici, che ha raggiunto dimensioni preoccupanti in termini assoluti ($ 11.423.602.459.016,00) e che è previsto cresca a velocità preoccupanti (più dell’11% annuo). Non sorprende che S&P avesse declassato il rating Usa. Certo, però, se l’”oracolo di Obama” è anche uno dei maggiori azionisti di Moody’s…

“Il conflitto di interessi è evidente. I big del rating” ha affermato il commissario europeo Olli Rehn “giocano secondo le regole del capitalismo finanziario americano”. Questo solleva da sempre sospetti di ogni genere: in molti sono convinti che le agenzie di rating abbiano, per esempio, assegnato alle cartolarizzazioni di mutui americani voti troppo benevoli proprio per ‘coltivare’ i propri clienti. Questo conflitto di interessi è stato rilevato anche dalla Sec, l’Autorità di vigilanza Usa, per la quale “due delle maggiori agenzie non hanno specifiche procedure per gestire il potenziale conflitto di interessi quando una società loro azionista chiede un rating”.

Quando l’analista di una “investment bank” esprime un giudizio su una società quotata in Borsa (o anche solo consiglia di comprare o vendere le sue azioni ai promotori finanziari della banca), è sempre forte il sospetto che lo faccia perché la sua banca è creditrice di quella stessa società (si pensi al caso Parmalat). Il problema del “conflitto di interessi” sembra, invece, essere del tutto assente nel mondo dell’alta finanza.

A livello internazionale, le grandi agenzie di rating condizionano la gestione di tutti i fondi del mondo creando una serie di effetti automatici a catena che minacciano di generare crisi a livello globale senza che nessuno effettui alcun controllo sul loro operato. Tanto potere (e ritorno economico) non poteva non far gola.

Nel 1994 è stata fondata la Dagong Global Credit Rating Co. Dopo alcuni anni di “apprendistato” presso le maggiori agenzie del mondo per imparare metodi e idee in materia di rating, i cinesi hanno iniziato a elaborare “un sistema di rating obiettivo, leale, ragionevole” e, soprattutto, alternativo a quello delle tre grandi agenzie americane che, a loro dire, “esprimono giudizi troppo influenzati da variabili occidentali”.

Anche in questo caso, però, la parola trasparenza pare essere sconosciuta (del resto visti i maestri che la nuova agenzia ha avuto). La maggioranza delle azioni della Dagong Global Credit Rating Co è nelle mani del presidente, Guan JianZhong il quale non ha voluto svelare nemmeno l’identità dei soci, ma si è lasciato sfuggire che uno di loro potrebbe essere “in qualche modo” legato al governo condizione che permetterebbe all’intero Paese di avere ancora più fiducia nella società (e di gestirne le analisi). (sopra, a destra, foto trata da stockmarketdigital.com)

Sta di fatto che, nel giro di pochi mesi, i rating della nuova agenzia hanno declassato quasi tutti i Paesi del globo (Stati Uniti inclusi), con l’eccezione proprio della Cina, che un paio di giorni fa si è vista confermare un rating AAA, valore che, come è stato affermato nel corso di una conferenza stampa, “fa cadere qualsiasi preoccupazione in merito al presunto rallentamento della crescita cinese”. Il sospetto che l’agenzia “indipendente” di Pechino non sia poi così autonoma è venuto a tanti.

E mentre Stati Uniti e Cina lottano per spartirsi il mercato globale del rating e gestiscono un potere economico immenso, l’Europa, che pure aveva fatto un timido tentativo di regolamentare l’argomento (Regolamento CE n. 1060/2009), di fatto sta a guardare nascondendosi dietro l’osservazione del direttore del Fondo monetario, Dominique Strauss-Kahn, che ritiene alle agenzie di rating sia stata data troppa importanza.

Il dibattito sulle agenzie di rating si è ormai spostato nel campo della politica con proposta di creare un’agenzia europea, con o senza il coinvolgimento della Banca Centrale Europea.

 

 

 

 


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