Il gioielliere che riciclava i soldi sporchi della mafia Tra anelli, orologi di lusso e lingotti d’oro in Svizzera

«Verrà un signore che si chiama Pietro Puglisi. Ti lascerà una busta con duemila euro, entra e se ne va». Il 14 luglio ad Acireale si festeggia San Camillo. La chiesetta non è lontana dalla gioielleria di Angelo Nicotra. Pietro Puglisi, però, è atteso a Paternò, nell’altro punto vendita della famiglia. I due, 46 anni ciascuno, sono amici di lunga data: ma se il primo è un commerciante di preziosi, l’altro è ritenuto essere stato a partire dal 2018 il reggente del clan Assinnata e già da prima un elemento di spicco. Un’accusa che gli è valsa già una condanna in primo grado a 12 anni. Sia Nicotra che Puglisi ieri sono stati arrestati nel blitz Sotto Scacco, che ha colpito i gruppi criminali legati ai Santapaola-Ercolano attivi tra Paternò e Belpasso.

L’accusa per il commerciante è di avere contribuito a riciclare i soldi del clan, facendo anche da bancomat a Puglisi quando aveva bisogno di liquidità. Per la procura di Catania, le cosche avrebbero potuto contare su una serie di imprenditori compiacenti e Nicotra sarebbe stato uno di loro. Il giorno di San Camillo del 2018, il 46enne contatta una propria dipendente spiegandole che il denaro di Puglisi dovrà essere messo da parte. «Dopo un po’ verrà un signore che ti darà un orologio Rolex con la scatola – dice Nicotra alla donna – Tu gli dai i duemila euro. A quel punto mi chiami subito, che io faccio tornare il signor Puglisi. Glielo devi fare solo provare, per vedere come gli sta». Per gli inquirenti, quella del presunto affiliato al clan Assinnata non sarebbe una semplice passione per i gioielli. Puglisi avrebbe avuto in Nicotra un canale privilegiato per scambiare denaro contante di provenienza illecita. Tutto lontano da occhi indiscreti. «Le operazioni avvenivano al di fuori del negozio e con modalità diverse da quelle ufficiali per non consentire di risalire al Puglisi», si legge nell’ordinanza firmata dalla giudice Maria Ivana Cardillo.

Quella di Nicotra nei confronti di Puglisi sarebbe stata una consulenza ad ampio raggio. Il commerciante avrebbe proposto al 46enne paternese anche di investire in lingotti d’oro. «Il 28 settembre salgo a Torino. C’è una persona molto seria. Il discorso è questo: se tu hai un euro che non ti serve nel lavoro, chiamiamolo il vecchio guadagno che non c’è più – spiega – Lui li porta in Svizzera per un acquisto di lingotti e mantiene il rendimento». Nicotra aggiungeva poi che con una carta di credito prepagata si sarebbero potute prelevare le somme – diecimila euro per volta – per farle rientrare in Sicilia. A riconoscere il commerciante in foto è stato anche il collaboratore di giustizia Giuseppe Caliò. Conosciuto come Stallera, ha deciso di lasciare il mondo criminale tre anni fa dopo avere iniziato a temere che il boss Santo Alleruzzo lo volesse morto. «Tale Davide che fa da autista a Santo Alleruzzo quando viene in permesso premio a Paternò – ha messo a verbale Caliò – mi disse che Alleruzzo voleva incontrarmi ma io non vollì vederlo. Poi successivamente mi venne a dire che Alleruzzo mi mandava un bacio». Di Nicotra, Caliò ricorda un aneddoto risalente ai tempi del matrimonio di Domenico Assinnata. «Quattro di questi assegni li consegnai ad Assinnata ed erano intestati a Nicotra, titolare di una gioielleria a Paternò, che era amico loro. Questi assegni servivano in garanzia, almeno credo, e in tale occasione mi dissero che questa persona era amica loro, capii che avevano interessi in questa gioielleria».

Come detto, Nicotra sarebbe stato disponibile anche a recuperare soldi liquidi scambiando i gioielli e orologi di lusso. Di ciò i due parlano ad agosto del 2018. «Io me lo immaginavo che questo mese di agosto era nero, però non immaginavo che era così», commentava Puglisi. Davanti alle cui lamentele, Nicotra replicava: «Ma vuoi che spingo anche gli anelli? Ti serve liquidità?». La risposta dell’uomo accusato di essere stato il reggente del clan Assinnata era inequivocabile. «Mi serve, tostu ora (proprio subito, ndr)». Il motivo di tale impazienza sarebbe ricostruibile in ciò che Puglisi dice dopo, a dimostrazione secondo gli inquirenti di come non si facesse problemi di parlare dei propri affari illeciti con Nicotra. «A settembre ho una cosa grossa… con gli albanesi», rivela l’uomo. La cui aspettativa di ottenere almeno ottomila euro in contanti si scontrava con il realismo di Nicotra secondo cui al massimo si sarebbe potuto provare a recuperarne cinquemila.

Il rapporto tra Nicotra e Puglisi sarebbe oscillato costantemente tra dare e avere. E così, poche settimane dopo i commenti sull’agosto nero, Puglisi si ritrovava nelle condizioni di fare nuove spese. L’8 settembre – festa di Maria Bambina, tanto ad Acireale quanto a Paternò – i carabinieri monitorano uno dei tanti incontri tra il gioielliere e Puglisi. Nei pressi di un bar, l’uomo accusato di fare parte della mafia paternese comunicava l’intenzione di comprare brillanti e monili in oro per molte migliaia di euro. «Nicotra gli illustrava le modalità di acquisto, naturalmente senza alcuna fattura o documento che attestasse tali passaggi», ricorda la giudice che ha mandato ai domiciliari il commerciante.


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