L'Andreotti di Sorrentino si colloca sul crinale, difficile da chiarire, tra bene e male, tra morale e immorale. O meglio, è un personaggio «amorale», lontano da ogni coinvolgimento etico: la migliore incarnazione del Principe machiavelliano
Il divo nella penombra
Se lonorevole Andreotti conosce la filmografia di Paolo Sorrentino, non deve aver gradito il fatto di seguire Titta Di Girolamo e Geremia de Geremei. Il primo è il fiancheggiatore involontario della mafia, costretto a riciclarne i soldi sporchi nelle banche svizzere ne Le conseguenze dellamore. Il secondo lusuraio spregiudicato che accontenta unItalia di provincia in piccoli o piccolissimi desideri di arricchimento o di scalata sociale ne Lamico di famiglia.
Il divo completa questa galleria di figure enigmatiche e decisamente crepuscolari: antieroi e frequentatori di bassifondi che non si sarebbe portati ad accostare a uno degli uomini più potenti dellItalia del dopoguerra. Invece lAndreotti di Sorrentino si colloca al limite, al crinale, difficile da chiarire, tra bene e male, tra morale e immorale. O forse sarebbe meglio parlare di a-moralità, perché il più volte sottosegretario, ministro della Repubblica, Presidente del Consiglio, sembra lontano da ogni coinvolgimento di tipo etico.
Tutto, nel suo pensiero e nelle sue azioni, è calcolo e aspirazione ad ununica finalità: la pax. Da conseguire a qualsiasi prezzo. In questa rappresentazione di un Andreotti, cinico e pragmatico, oltre che disposto a tutto, autentica incarnazione del Principe machiavelliano, Sorrentino non aggiunge nulla rispetto al senso comune, che, anche se non del tutto consapevolmente, ha già interiorizzato il grande statista di casa nostra come uomo del mistero e di sostanza indecifrabile. Resta comunque la difficoltà a storicizzare il presente: Andreotti non può ancora essere incasellato in questo o quello scomparto storiografico. Sorrentino lo sa e si limita a tratteggiare una stagione politica contrassegnata dal rapimento Moro, da Tangentopoli, dalla mancata elezione del divo Giulio a Presidente della Repubblica, dalle fasi preparatorie del processo celebrato a suo carico a Palermo per associazione mafiosa.
Limpressione è che Il divo sia come ha detto il suo autore più unopera, magari destinata ai giovani, di divulgazione e introduzione alla complessità di un uomo al crocevia di molti misteri, piuttosto che un identikit perfettibile, ma tutto sommato verisimile, del protagonista politico degli ultimi 50, 60 anni.
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Le movenze, la postura, lasciuttezza nel linguaggio, la causticità verbale non risultano, nella resa filmica, macchiettistiche o caricaturali. Andreotti passa per impermeabile alle emozioni, freddo e impassibile, capace di simulare e di attendere. E Servillo esprime efficacemente questa gamma di sfumature dellimperscrutabilità che hanno alimentato nei decenni le più disparate e anche legittime dietrologie. Fare un film ancora più originale da un soggetto così limitante imponeva di avventurarsi nei campi minati della recente storia italiana, che Sorrentino attraversa a volo duccello, senza soffermarsi troppo sui singoli fatti. La sua capacità narrativa si conferma solida, avvincente. Il racconto di certe morti violente (Lima, Calvi, Sindona) ricorda un po lesuberanza ematica di Scorsese (Goodfellas, Casinò, The departed) o di Tarantino. La penombra perenne dellambientazione aggiunge una suggestione simbolica forte: ossia la prossimità tra Realpolitik e poteri occulti.
Il divo è unopera interessante e ben fatta, ma non il capolavoro di cui alcuni parlano.