Il deficit di natura e l’asino di Turi I bambini di oggi orfani di madre Terra

Dovessimo domandare a un genitore medio cos’è il deficit di natura, quasi certamente alzerebbe le spalle. Se allo stesso genitore, chiedessimo subito dopo l’informazione mi sa dire quanti centri commerciali ci sono attorno alla città, lui sorriderebbe e comincerebbe a contare con sicurezza. Perché l’uno esclude l’altro, quasi sempre. Anche se la responsabilità della crescita del primo non è del proliferare del secondo. Ma solo di noi stessi.

Il fatto di non sapere cosa sia il deficit di natura fa pensare alla domanda contadina di TuriUnn’è u sceccu? Unn’è u sceccu?? U beddu sceccu, maatri, pessi u sceccu! Grida quasi Turi, disperato di tornare a casa senza l’asino. C’è un altro contadino lì vicino, Tano, che guarda la scena e sta zitto, fino a quando non ne può più e dice: Ma tu, unni si assittatu?. Turi guarda Tano sbigottito. Poi abbassa lo sguardo e in silenzio capisce di trovarsi già in groppa all’asino.

Ora, il deficit di natura, anche se non ci rendiamo conto di conoscerlo, già lo cavalchiamo. E’ il risultato del nostro tempo, uno degli effetti del proliferare dei centri commerciali. E’ il nostro modo di vita cambiato, che ci porta a regalare ai nostri figli i giochi interattivi elettronici con animali esotici finti, piuttosto che fargli conoscere per esempio i pettirossi, prima che ripartano per la migrazione stagionale. Io ho guidato più volte bambini di quinta elementare di una scuola pubblica, in escursione didattica in ambiente naturale. Prima di iniziare a camminare, ci siamo raggruppati, e ho chiesto quali animali secondo loro, vivono in questo bosco tra Trecastagni e Zafferana. Cervi. Scoiattoli. Cinghiali. Qualche lince. Lupi? Senza commentare, ho detto subito: nessuno mi ha parlato degli uccelli. Passeri e… uccelli in genere, certo che ci sono gli uccelli!

C’erano tre ragazzini su venticinque, che si sono messi a ridere. Perché non ci sono né cervi né scoiattoli né cinghiali né linci né tantomeno lupi, nei boschi dell’Etna. E gli uccelli hanno nomi precisi: poiane, gheppi, colombacci, gazze, civette, gufi, assioli, usignoli, e anche passeri.

I tre ragazzini che ridevano sono frequentatori dell’ambiente naturale. Una percentuale molto bassa, intorno al 12%. Cioè, quasi il 90% dei bambini non conosce l’ambiente naturale dove vive, perché spinto dai genitori a frequentare nel tempo libero tutt’altri territori, come appunto i centri commerciali.

Il mese scorso è uscito sul settimanale Io Donna uno spaccato della nuova società cinese, a firma del corrispondente di Repubblica, Giampaolo Visetti. La Cina, intesa come nuova potenza economica mondiale, viene descritta come una società già sbagliata a crescere uomini. Milioni di bambini cinesi non hanno mai visto animali e piante dal vivo. Il mondo per loro è una rappresentazione: li raggiunge attraverso la televisione, il pc, il telefonino e i videogiochi, scrive Visetti. E continua: la maggioranza è in grado di descrivere bestie e alberi di continenti lontani, senza però aver mai accarezzato un vitello o tastato la consistenza di un fiore di loto. L’Accademia delle Scienze di Pechino definisce «senza natura» questa futura classe dirigente, priva dell’esperienza dei meccanismi della vita. I risultati di questo studio fanno eco, a distanza di cinque anni, dal primo condotto negli USA, pubblicato da Richard Louv. E cioé che si tratta di una nuova patologia, il deficit di natura, appunto. Sintomi: depressione, sovrappeso, incapacità di centrare gli obiettivi, iperattività, aggressività, difficoltà a relazionarsi profondamente, incapacità ad avere legami stabili. Il deficit di natura già affligge i due terzi dei cinesi sotto i trent’anni. Più o meno la stessa percentuale dei loro colleghi americani.

Qualche giorno fa su Repubblica-on line è uscito un articolo dal titolo inquietante «Addio animali, boschi e lupi, la natura scompare dalle fiabe». In sostanza, la macchina consumistica editoriale propone ai nostri figli gli stessi argomenti di lettura che piacciono alla maggioranza di noi adulti. La natura non porta profitto. L’induzione alla roba di consumo, invece sì. In altre parole, abbiamo fatto il giro di boa, sostituendo negli anni con sistematica programmazione, il denaro all’uomo. Perché l’uomo ha bisogno del lupo non tanto come bestia fantastica, quanto come estensione del sé. Perché non è importante che vada a toccarlo, ma che sappia che esista. Perché facciamo parte tutti dello stesso destino, della stessa vita, e siamo figli della stessa madre Terra. «La nostra società soffre dello stesso tipo di patologia di cui soffrono gli individui che sono cresciuti negando la figura della madre», sostiene Marcella Danon nel suo saggio Ecopsicologia. «Il bisogno di sentirsi parte è un bisogno connaturato con la natura umana e la mancanza di un legame emotivo tra gli esseri umani e madre terra è attualmente causa di una crisi psicologica, spirituale ed ecologica».

Dopo aver tagliato il ramo sul quale respiriamo, stiamo finendo di segare anche quello dove crescono i nostri figli. Mozzandogli la consapevolezza di essere umani, separandoli dal senso di appartenenza alla natura, alla Terra, a se stessi. Ci saranno sempre più uomini scollati dal mondo reale, incapaci di relazionarsi emotivamente tra di loro, e per questo immaturi e violenti. E’ già parte della nostra realtà italiana, che viviamo tutti. Il deficit di natura. Unn’è u sceccu? 

A maggio, a Catania la Società Italiana di Pediatria, l’associazione di volontariato ambientale Piuma Bianca, Paidos e la Provincia Regionale di Catania, organizzeranno l’incontro «Diamogli una mano, il disagio dei nostri figli». Sarà una tavola rotonda dal vivo, in cui interverranno magistrati, dirigenti di polizia, medici pediatri, psichiatri, veterinari specializzati in approccio cognitivo-relazionale, dirigenti scolastici, giornalisti, esperti di disagi minorili. Saranno coinvolti registi e musicisti, perché sarà proiettato anche un film corto sul tema del riavvicinamento alla natura. Si cercherà alla fine di indicare tutti insieme delle linee guida da adottare ognuno nel proprio ambito specifico. Si cercherà di affrontare noi stessi. L’asino è qui, adesso.

Unn’è u sceccu?

Articolo di Sergio Mangiameli pubblicato su Paidos

 

[Foto di nicoleta gramada]


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