Il cuore della St non abita più qui

Noida, India. – C’è un’azienda italiana che assumerà in poco tempo 3.400 giovani ingegneri. Sta aumentando il personale del 15 per cento all’anno. I suoi dipendenti hanno un’età media di 28 anni, almeno un master post-laurea, e sfornano 60 brevetti per innovazioni ogni dodici mesi. L’impresa è la StMicroelectronics, fondata nel 1987 da Pasquale Pistorio con capitali pubblici italo-francesi, ed è l’unica multinazionale che ci è rimasta nel campo delle tecnologie avanzate.

E’ il quinto produttore mondiale di semiconduttori, memorie e microcircuiti intelligenti che fanno funzionare computer e telefonini, decoder televisivi e Dvd, l’elettronica di bordo delle automobili, le smart card per collegarsi a Internet. I suoi microchip sono la mente di prodotti Nokia e Ibm, Alcatel e Bosch, Sony e Hewlett-Packard. E’ un gigante da 8 miliardi di euro di fatturato, un campione che resiste in un settore dove la competizione ne ha visti soccombere tanti. Ma l’aumento delle assunzioni del 15 per cento, i 3400 nuovi ingegneri, non verranno nei suoi stabilimenti italiani di Agrate Brianza o di Catania, né in quelli francesi di Grenoble. E’ qui in India, dove i migliori ingegneri costano un quinto degli italiani che la St cresce a ritmi formidabili.

A Noisa, città-satellite di New Delhi detta Knowledge Park (parco della conoscenza) perché ospita quartieri generali di tutte le multinazionali hi-tech del mondo, la St ha appena finito di costruire un nuovo “campus” all’americana di centomila metri quadrati. Qui la sua filiale indiana trasloca la settimana prossima per far posto alle nuove assunzioni: dai 1.600 dipendenti attuali passerà a 5.000. Non c’è un operaio, soltanto ingegneri elettronici, matematici, fisici. A Nodia non esistono fabbriche ma laboratori avanzati, ricerca e innovazione.

Alla St indiana neppure il capo è italiano. Si chiama Vivek Sharma, quarantenne, una laurea al Politecnico del Punjab e un master in ingegneria elettronica all’Indian Institute of Technology, una delle accademie all’avanguardia mondiale. Sharma elenca i numeri fondamentali della sfida che l’India sta vincendo con l’Occidente. “Un nostro giovane ingegnere ci costa mille dollari al mese – dice – e in questo totale metto il salario lordo, incluse tutte le assicurazioni, i contributi sanitari e previdenziali. In America o in Europa alla stessa età e con lo stesso livello di competenza costa 5mila dollari al mese. Vista la disparità non c’è da stupirsi se l’industria tecnologica delocalizza in India. Anzi, semmai c’è da chiedersi se i trasferimenti di posti di lavoro qualificati non siano destinati ad assumere proporzioni molto superiori. Credo che avete visto solo l’inizio di un trend. Fino a quando gli azionisti delle multinazionali americane o europee accetteranno di pagare dei giovani ingegneri cinque volte più cari per un lavoro che i loro coetanei indiani sanno svolgere altrettanto bene, o addirittura meglio?”

E’ una domanda logica, che si estende a tutti il confronto tra ‘Asia e l’Occidente. La stessa St dopo averli progettati in India i suoi subconduttori li fabbrica a Shangai e là le cifre sono queste: con meno di 3.000 operai cinesi l’azienda fa 1,6 miliardi di dollari di fatturato, mentre in Italia con diecimila dipendenti produce meno di un quinto, 300 milioni di dollari. Fino a quando?

L’India è lanciata verso traguardi che a noi appaiono irraggiungibili. Le sue 380 università scientifiche sfornano 200mila ingegneri all’anno, più 300mila laureati nelle altre materie scientifiche (matematica e fisica, chimica e biologia), e 2mila superlaureati con il PhD. La qualità di questa manodopera è stata riconosciuta da tempo nella patria dell’hi-tech: gli Stati Uniti per anni hanno campato di rendita sull’immigrazione dei cervelli indiani. Il 12 per cento degli scienziati di tutte le facoltà americane sono indiani, e addirittura il 36 per cento dei matematici della NASA. Ma l’emigrazione in America non è più quella scelta obbligata che era ancora dieci anni fa per i migliori talenti. Ora i cervelli possono rimanere in India, sono le multinazionali che vengono qui. “Subito dopo gli Stati Uniti – osserva Sharma – nel mondo il più vasto serbatoio qualificato di manodopera tecnico-scientifica che parla inglese si trova in India”. E si trova anche vicina ai mercati di sbocco più dinamici per i prodotti tecnologici. L’anno scorso il 47 per cento di tutti i semiconduttori del mondo sono stati venduti in Asia.

La signora Poormina Shenoy, a meno di 40 anni, è presidente dell’associazione confindustriale dei produttori di seminconduttori in India. Il suo ruolo dirigente in un settore di punta ricorda una delle singolarità di questo Paese, afflitto da disuguaglianze sociali e arretratezze ancora spaventose, eppure il primo al mondo ad avere avuto un primo ministro donna (Indira Gandhi). Un Paese dove ancora esistono le caste, ma che è anche capace di avere contemporaneamente un presidente della Repubblica musulmano, un primo ministro della minoranza sikh, una leader del partito di governo cattolica e italiana: Sonia Gandhi. Poormina Shenoy sottolinea che l’India è maestra nel trasformare le sue debolezze in punti di forza. “Per molto tempo ci siamo lamentati per le dimensioni della nostra popolazione. Sembrava un freno allo sviluppo. Oggi la demografia è diventata la nostra arma. Con un miliardo di abitanti di cui il 70 per cento ha meno di 35 anni, siamo un mercato in crescita vorticosa per tutte le industrie e i servizi. La differenza tra i popoli vecchi e i popoli giovani balza agli occhi. Quando vado a fare compere da Marks & Spencer a Londra i reparti più ricchi sono quelli che vendono i prodotti per anziani, invece un grande magazzino di New Dehli è tutto rivolto verso bambini e teen-ager”.

Su questa immensa popolazione giovane si esercita una micidiale selezione di talenti. “Ci sono così tanti giovani qualificati a caccia di posti di lavoro – continua Poormina Shenoy – che l’ambizione competitiva viene eccitata fino ai livelli più estremi. Sia per i giovani che per le famiglie la motivazione è fortissima. In America e in Europa la gente risparmia anzitutto per prepararsi la pensione, qui la prima finalità del risparmio è l’istruzione dei figli. Per milioni di ragazzi della piccola borghesia indiana il voto in matematica e in inglese rappresenta la via d’uscita dalla trappola della povertà in cui le generazioni precedenti erano imprigionate”. Fin dalle scuole elementari in India sono famose le gare di matematica. I ragazzi si allenano tutto l’anno per un piazzamento nel campionato di algebra che rimarrà scritto nel loro curriculum vitae, potrà servire più tardi a guadagnare l’accesso a una delle superfacoltà.

Nel laboratorio di ricerca della St squadre di ventenni entusiasti mostrano al visitatore le loro ultime invenzioni. Hanno affisso in bacheca il grafico di un’altra gara che seguono con molta concentrazione: il trend dei brevetti St creati in Europa, e quello dei brevetti indiani che inseguono e tallonano la casa madre. Anand Bodas, 27 anni, programmatore di software, racconta che subito dopo averlo assunto la St lo mandò per uno stage di formazione nelle sue sedi in Lombardia. “In Italia mi sono trovato benissimo, con voi è facile intendersi, abbiamo gli stessi valori familiari, e la vostra qualità della vita è ottima. Ma rimanevo stupito nel vedere con che frettolosità i miei colleghi lasciavano l’ufficio all’ora stabilita. Noi qui non conosciamo orari, si lavora a oltranza. Nella Silicon Valley lo sanno da un pezzo ma in Italia ancora la gente non ha capito di che cosa siamo capaci noi indiani”.

A Noida i ricercatori della St stanno creando ora un nuovo semiconduttore appositamente studiato per i videotelefonini di terza generazione che saranno messi sul mercato italiano tra pochi mesi. Li offrirà ai clienti un noto operatore telecom nazionale.

La tecnologia è stata progettata in India. Il prodotto verrà assemblato in Cina. L’Italia, di suo, ci mette il consumatore.

[PUBBLICATO SU “LA REPUBBLICA” DEL 13/12/2005]

Il testo corrisponde alla parte conclusiva di un lungo reportage dall’India di Federico Rampini. Le precedenti puntate erano apparse su “La Repubblica” nei giorni 8 e 9 dicembre. Il titolo “Il cuore della St non abita più qui” è nostro. [Ndr]

Federico Rampini

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