Una rete internazionale di affari criminali e di contatti con boss di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta, dalla Sicilia agli Stati Uniti, passando per la Germania e per Roma. Estorsioni, infiltrazioni nel mercato del pesce dell’Isola con mire anche su quelli della Capitale e di Milano, traffico di stupefacenti tra città italiane e tedesche, l’appoggio di due carabinieri infedeli. È su tutto questo che si sarebbe basato il potere del clan Rinzivillo di Gela, i cui tentacoli si sarebbero estesi ben al di là della città in provincia di Caltanissetta. Secondo quanto emerge da due indagini della Direzione distrettuale antimafia di Roma e da quella di Caltanissetta, al vertice ci sarebbe Salvatore Rinzivillo, scarcerato nel 2013 e residente nella Capitale. Da qui avrebbe provato a riorganizzare il gruppo, diventandone il reggente dopo gli arresti del 2015. A comandare, comunque, sarebbero stati sempre i due boss storici di riferimento, Antonio e Crocifisso Rinzivillo, attualmente al carcere duro.
Le operazioni Druso ed Extra Fines hanno portato, all’alba di oggi, all’esecuzione di 37 misure cautelari, di cui dieci in carcere e le altre di domiciliari. Sono stati 600 gli uomini delle forze dell’ordine impegnate tra la Sicilia, il Lazio, la Lombardia, il Piemonte, l’Emilia Romagna e la Germania, dove sarebbe stata riattivata una cellula del clan nelle città di Karlsruhe e di Colonia, nei land tedeschi di Baden-Wüttemberg e della Renania Settentrionale-Westfalia. È scattato anche il sequestro preventivo di due compendi aziendali, di partecipazioni di tre società, denaro contante e un’autovettura di grossa cilindrata, per un ammontare complessivo di circa 11 milioni di euro.
L’ESTORSIONE AL CAFÈ VENETO DI ROMA
La riorganizzazione del clan sarebbe partita dalle tradizionali attività estorsive. Ma Salvatore Rinzivillo, da tempo ormai residente nella Capitale, avrebbe mirato in alto: al Cafè Veneto, nella centralissima via Veneto, a Roma, di proprietà della famiglia Berti. D’accordo con il co-mandante gelese Santo Valenti, e grazie a numerosi ambasciatori di minacce, protagonisti pure di condotte violente (i pregiudicati romani Angelo Golino e Salvatore Iacona e quello gelese Rosario Cattuto), il reggente del clan avrebbe chiesto ad Aldo Berti la somma di 180mila euro.
La vittima avrebbe risposto seguendo due piste: da un lato ha presentato denuncia, dall’altro, per risolvere più velocemente il problema, si sarebbe rivolto al pregiudicato mafioso palermitano Baldassarre Ruvolo, prima collaboratore di giustizia e poi estromesso dal programma di protezione, già appartenente alla famiglia mafiosa di Cosa Nostra dei Galatolo dell’Acquasanta di Palermo.
Determinante in questa vicenda sarebbe stato il ruolo di due carabinieri infedeli: Marco Lazzari e Cristiano Petrone che avrebbero abusivamente fatto accesso alle banche dati delle forze dell’ordine per raccogliere informazioni sulla famiglia Berti, e su altri soggetti, per poi recapitarla a Rinzivillo. Soltanto Lazzari, poi, avrebbe effettuato dei sopralluoghi al Cafè Veneto, sempre su indicazione del reggente del clan. Lazzari si sarebbe spinto oltre, gestendo i contatti con altri affiliati del clan, tra cui Ivano Martorana, luogotenente di Rinzivillo in Germania e con un ruolo chiave nel traffico di droga.
GLI AFFARI NEL COMMERCIO DEL PESCE
Al filone di indagine sulle attività criminali nella Capitale, si somma quello portato avanti dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, attraverso la squadra mobile nissena, il commissariato di Gela e il Gico di Roma. Da questi approfondimenti sono scaturite 31 ordinanze di misura cautelare per altrettanti soggetti accusati di associazione di stampo mafioso, diversi episodi di estorsione e detenzione illegale di armi, riciclaggio e autoriciclaggio, intestazione fittizia di società per aggirare la normativa antimafia in materia di misure di prevenzione patrimoniali e traffici di droga. Ne emerge un nuovo quadro della struttura del clan Rinzivillo, composta da da un’ala criminale – che si occupa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, estorsioni, intestazioni fittizie e traffico di armi – e da un’ala imprenditoriale, che si occupa invece di edilizia, di trasferimento fraudolento di beni, commercializzare autoveicoli e alimenti.
In particolare i tentacoli di Cosa Nostra gelese si sarebbero allungati sul mercato del pesce. Secondo quanto emerso dalle indagini, in Sicilia ci sarebbe un vero e proprio patto tra famiglie mafiose per dividersi i proventi derivanti non solo dalla commercializzazione dei prodotti ittici in Sicilia, ma anche in altre regioni italiane e all’estero, con mire sui mercati di Roma, Milano e della Germania. I Rinzivillo avrebbero imposto a imprenditori del settore di rifornirsi solo da alcune ditte e si sarebbero direttamente infiltrati, gestendo di fatto alcune società che sarebbero riferibili ai gelesi Carmelo e Angelo Giannone, padre e figlio.
Salvatore Rinzivillo in persona inoltre avrebbe preso contatti con diversi esponenti mafiosi siciliani per estendere il suo business in questo ambito: avrebbe trovato un accordo con uomini di Cosa Nostra a Mazara del Vallo, «costringendo – sottolineano gli inquirenti – alcuni imprenditori locali a fornire il pesce a credito piuttosto che a fronte di pagamento in contante all’atto della consegna». La rete si sarebbe quindi estesa a importanti pregiudicati messinesi e perfino a un boss italo-americano del calibro di Lorenzo De Vardo, residente a New York, anche per l’avvio di importanti iniziative economico-commerciali, soggetto noto sin dai tempi del maxi processo di Palermo, quale appartenente alla famiglia mafiosa Bonanno-fazione Catalano di Cosa Nostra.
Nel Catanese Rinzivillo avrebbe potuto contare su buoni rapporti con la famiglia calatina di Francesco La Rocca, storico capomafia di San Michele di Ganzaria, e su appartenenti al clan Mazzei, detto dei Carcagnusi, gruppo che ha interessi criminali a Roma. Rapporti, quelli con i catanesi, che in un primo momento sarebbero stati conflittuali, per poi invece diventare positivi. A sancire la riconciliazione sarebbe stato anche l’aiuto dato da Rinzivillo a Sergio Giovanni Galdolfo, vicino ai La Rocca e detenuto all’estero. In particolare, nel febbraio del 2016, Salvatore Rinzivillo si sarebbe attivato per affidare la sua tutela legale all’avvocato romano Giandomenico D’Ambra, facendo da tramite tra il legale e i familiari di Galdolfo.
L’AVVOCATO DELL’AREA GRIGIA
Secondo gli inquirenti, proprio Giandomenico D’Ambra, del Foro di Roma, sarebbe «l’archetipo dell’esponente della cosiddetta area grigia: un professionista che si serve della criminalità organizzata e di cui quest’ultima, a sua volta, si avvale». Così come per i due carabinieri, il legale si sarebbe attivato per raccogliere notizie su indagini in corso, soprattutto su Salvatore Rinzivillo, in modo da poter assumere le necessarie contromisure per eludere le investigazioni. Per questo, insieme ai militari, viene accusato di concorso esterno all’associazione mafiosa. Inoltre D’Ambra avrebbe incontrato altri affiliati del clan in Lombardia, Rolando Parigi e Alfredo Salvatore Santangelo. In cambio avrebbe anche usato «i servizi» dell’organizzazione mafiosa per scopi personali, come nel caso di un’aggressione fisica a un soggetto per portargli via un orologio Philip Patek del valore di circa quarantamila euro.
IL CLAN IN GERMANIA
Ivano Martorana, incensurato e quindi insospettabile, gelese ma da tempo residente in Germania, e lo zio Paolo Rosa, pure lui gelese trasferitosi, sarebbero gli uomini individuati da Salvatore Rinzivillo per riattivare la cellula tedesca del clan nelle città di Karlsruhe e di Colonia. I due si sarebbero attivati nell’organizzare e realizzare più traffici di droga e avrebbero tentato di avviare investimenti nei settori delle costruzioni e degli alimentari.
In particolare dalle indagini, in collaborazione con la polizia tedesca, sarebbero emersi contatti con Antonio Strangio, latitante ‘ndranghetista, gestore del ristorante Da Bruno, a Duisbrug, sede della strage di ferragosto del 2007. Altri uomini che avrebbero collaborato agli affari illeciti di Rinzivillo in Germania sarebbero Angelo e Calogero Migliore, secondo gli inquirenti appartenenti alla Stidda, così sancendo un’inedita pax tra le due mafie storicamente rivali. Insieme a loro, al traffico di stupefacenti avrebbe contribuito anche Michele Laveneziana, pugliese domiciliato in Germania. A casa di quest’ultimo sono stati trovati due pistole semiautomatiche e un fucile a canne mozze.
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