Il caso Novamusa/Beni culturali siciliani: i privati? No, grazie!

Fa riflettere il ‘caso’ di Gaetano Mercadante, 51 anni, originario di Roma, arrestato con l’accusa di peculato. E’ il rappresentante legale di imprese che operano nel settore dei Beni culturali: Novamusa Valdemone, Novamusa Val di Mazara e Novamusa Val di Noto. Erano le ‘protagoniste’ dell’Associazione temporanea di imprese incaricata dall’assessorato regionale ai Beni culturali di gestire siti archeologici siciliani tra i più famosi al mondo: il Parco antico di Taormina, Segesta e Selinunte, il museo Paolo Orsi e del parco di Neapolis a Siracusa.

La gestione è andata avanti dal 2003 fino al 2011. Se è finita sotto la ‘lente d’ingradimento’ degli inquirenti è perché, neanche a dirlo, i soldi degli incassi, che in parte sarebbero dovuti arrivare nelle ‘casse’ della Regione (e, in parte, nelle ‘casse’ dei Comuni), non si sono mai materializzati (per la Regione e per i Comuni, ovviamente). (a sinistra, foto di Segesta tratta da transferandgo.com)

Le polemiche esplodono nel 2008, quando l’allora dirigente generale del dipartimento Beni culturali, Romeo Palma, Blocca la concessione a Novamusa. Poi, tra alti e bassi, la storia è proseguita con gli immancabili contenziosi.

Noi, in questa sede, non ci soffermeremo sulla vicenda giudiziaria, che farà il proprio corso. In questa storia, sempre a nostro modesto avviso, vanno segnalate due cose. Primo: la contraddizione dell’amministrazione regionale. Secondo: il fallimento della gestione dei beni culturali siciliani affidati a privati.

Nel 2003, quando comincia, chiamiamola così, l’avventura di Novamusa e del suo nume tutelare, Gaetano Mercadante, la Regione ha già iniziato la folle ‘stabilizzazione’ del personale precario. Per la precisione, l’Ars ha già approvato una legge che prevede, per l’appunto, di ‘intruppare’ migliaia di persone nella pubblica amministrazione. Legge che non viene impugnata dall’ufficio del commissario dello Stato.

Domanda: se la Regione, già nel 2003, proseguendo fino al 2008, e oltre, ‘stabilizzava’, ovvero assumeva a tempo indeterminato migliaia di persone nella pubblica amministrazione, Comuni compresi, che bisogno c’era di affidare la gestione dei più importanti siti archeologici della Sicilia ai privati, visto che gran parte di questo personale – negli uffici della Regione e nei Comuni – tranne particolari casi, non sembra particolarmente impegnato? Perché non affidare la gestione di tali beni culturali ai nuovi assunti, magari coordinati da un paio dei mille e 800 dirigenti pagati sempre dalla Regione, altra gente che, in larga parte, non ha alcun servizio da dirigere?

Si dirà: lo prevedeva una legge. A parte il fatto che questo è vero solo in parte, va aggiunto che la Sicilia è una Regione Autonoma e avrebbe potuto cambiare la legge.

Invece la politica siciliana di quegli anni ha scelto la strada della follia: mentre si proseguiva con la ‘stabilizzazione’ del personale nella pubblica amministrazione per alimentare le clientele politiche, si affidava a soggetti esterni la gestione dei più importanti siti archeologici della Sicilia, non per introdurre elementi di managerialità in questo settore, ma per alimentare altre clientele. Una contraddizione bell’e buona.

Risultato: la Regione ha dilapidato un sacco di soldi ‘stabilizzando il personale. Mentre la stessa Regione e, in parte, i Comuni, che avrebbero dovuto incassare una percentuale delle entrate frutto della vendita dei biglietti d’ingresso, non hanno incassato un tubo.

Certo, la società che ha gestito i siti archeologici dice di aver effettuato dei lavori e si è tenuta i soldi per ‘compensare’. Il segno evidente che il bando non doveva essere particolarmente ‘restrittivo’ per le imprese che si sono aggiudicate la gestione di questi beni culturali.

In questa storia, come già ricordato, non c’è solo la contraddizione di una Regione che assume un sacco di personale e, poi, dà in gestione ai privati i propri beni culturali. C’è un secondo elemento: il fallimento della gestione dei beni culturali da parte dei privati.

Dalle pagine di questo giornale abbiamo segnalato le disfunzioni nella gestione dei beni culturali da parte del pubblico. Lo abbiamo fatto con i quadri di Caravaggio custoditi nel Museo regionale di Messina e con i custodi del Castello della Zisa a Palermo (foto a sinistra). Ma questo non significa che i beni culturali debbano essere affidati ai privati. Semmai, va migliorato il servizio pubblico, bandendo concorsi e assumendo giovani che conoscono le lingue straniere.

Sbagliato, invece, affidare la gestione dei beni culturali ai privati, soprattutto quando i contratti non sono chiari sin dall’inizio e si prestano a interpretazioni distorte, se non equivoche.

Il caso sul quale oggi indaga la magistratura è da manuale. I più importanti siti archeologici della Sicilia, che potrebbero fruttare alla Regione un sacco di soldi, se gestiti con professionalità e razionalità, non hanno creato benefici economici né alla Regione, né ai Comuni. Tutto questo mentre Regione e Comuni si trovano in condizioni finanziarie disastrose. Incredibile!

E’ così difficile organizzare un servizio di gestione pubblica dei beni culturali, con giovani laureati in grado di parlare correntemente due o tre lingue straniere, assunti per concorso pubblico, come vuole la nostra Costituzione, facendo prevalere il merito?

E ancora: quanti soldi hanno perso la Regione siciliana e i Comuni, in questi anni, regalando, di fatto, ai privati la gestione di siti archeologici tra più famosi al mondo?

 


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