Dal polmone verde di Monreale, grande 900 ettari e reso cenere questa estate, è partita l’iniziativa del Comitato Pioppo Comune. Un'esperienza raccontata nel reportage I diavoli del fuoco. Con una domanda di fondo: sono davvero i forestali i veri responsabili? «Si stava fuori anche due o tre giorni per spegnere le fiamme»
Il bosco di Casaboli, ferito ma ancora vivo A distanza di sei mesi dal devastante rogo
«Basta seguire il flusso dei soldi e si capisce che non sono i forestali ad appiccare gli incendi». «Lo devono distruggere, lo hanno fatto bruciare». «Dietro questo tipo di incendi c’è una mano criminale che ha deciso di devastare il bosco perché dietro ci sono interessi economici grossi». Era il 3 agosto 2017 e il bosco di Casaboli di Monreale, 900 ettari di verde, veniva distrutto dalle fiamme. Un incendio, il più grave degli ultimi trent’anni, in cui si celerebbe la responsabilità di chi ha lasciato in abbandono un settore tanto spesso criticato e messo sulla gogna mediatica: un settore, quello dei forestali antincendio siciliani, caratterizzato da falle evidenti.
Basti pensare che il 10 giugno, quando già bruciava mezza Sicilia, assessori regionali e dirigenti dovevano ancora pianificare la campagna antincendio, lasciando privi di automezzi e di attrezzature idonee gli operai forestali. Il rogo di Casaboli è emblematico di un certo modus operandi. E ora viene raccontato dal Comitato Pioppo Comune, che si occupa a Monreale di attivismo sociale e informazione, all’interno del reportage video I Diavoli del fuoco. «Un’esaltazione a svegliarci dall’indifferenza di questi anni – è la descrizione dei componenti del comitato -. Ascolterete alcune testimonianze da parte di chi il bosco l’ha visto nascere e non lo ha mai dimenticato».
«Abbiamo percepito fin dal primo momento che la situazione era grave – racconta Piero Cangemi, che a Casaboli è responsabile delle contrade Aglisotto e Vallelupa –. C’erano squadre formate da cinque persone, assolutamente insufficienti». Prima, quando veniva avvistato un incendio, suonavano le trombe in paese, le persone uscivano come le formiche dalle case, anche di notte. Erano i Diavoli del fuoco. Bastava la forza dei polsi per spegnere le prime fiamme, per scongiurare il rischio che quel bosco, nato dalla volontà di tanti pioppesi e poi diventato fonte di sostentamento per la maggior parte dei residenti della frazione, venisse distrutto. «Le persone spegnevano gli incendi anche rischiando la propria vita – racconta Giovanni Marceca, ex caposquadra dei forestali a Casaboli –. Con roncole e ramazze andavano ovunque, trenta persone sul camion andavano ovunque, non avevano paura, “c’è fuoco a Casaboli”, urlavano e si partiva anche per due o tre giorni per spegnere l’incendio». Oggi invece, non bastano nemmeno i Canadair ed elicotteri per spegnere gli incendi.
Dal reportage appena pubblicato sul canale Youtube SummaccoTV emergono alcuni interrogativi. Cosa si deve fare per far funzionare un sistema che si è dimostrato poco efficiente nelle lotta agli incendi boschivi e alla desertificazione del territorio? «Bisogna tornare al passato – spiega nel reportage Tonino Russo, della segreteria Flai-Cgil -, quando tutti i lavoratori potevano intervenire sugli incendi». E per far rinascere il bosco rimasto gravemente ferito? Da dove si deve ripartire? «Si deve difendere il suolo – dice Piero Cangemi – che dopo l’incendio è vulnerabile, significa controllare la desertificazione».
«Si sta perdendo già tempo per farlo rinascere – secondo Giovanni Marceca -, ci sono voluti 36 anni per fare fiorire Casaboli». «Emerge, dalle testimonianze di tutti i protagonisti – fanno notare dal Comitato di Pioppo -, una chiara volontà di distruggere il comparto forestale attraverso una cattiva informazione e una studiata politica emergenziale che a tutto serve tranne che alla difesa della ambiente e del lavoro».