Torna in aula il maggiore dei Carabinieri Lucio Arcidiacono. Per ripercorrere le indagini che hanno portato a uno dei più importanti processi cittadini. «Dopo l'operazione Dionisio, Cosa nostra catanese doveva riorganizzarsi, così cominciammo a indagare sui possibili successori», spiega. Tra nomi ancora non noti e imprenditori - collusi e vittime -, con al centro due protagonisti: Vincenzo Aiello (in foto) per i rapporti con la provincia e Rosario Di Dio a Ramacca
Iblis, il triangolo Palermo-Catania-Enna La mafia etnea dopo gli arresti del 2005
Un triangolo criminale tra Palermo, Catania ed Enna. Fatto di nomi – tanti – affari e imprevisti. Come le intercettazioni e gli appostamenti del reparto operativo speciale dei Carabinieri etnei, raccontate oggi in aula da Lucio Arcidiacono, maresciallo che ha condotto le indagini diventate il processo Iblis. Ormai un ospite fisso nei vari stralci del procedimento – compreso quello nei confronti dell’ex governatore regionale Raffaele Lombardo – e noto per la sua capacità di raccontare per ore senza perdere la lucidità. Una carrellata di nomi, date, parentele – vicine e lontane, come «… il figlio del cugino di primo grado…» che fa tanto sorridere il pubblico – Arcidiacono si confonde di rado. Interrotto dopo più di tre ore di deposizione, tornerà in aula il prossimo giovedì.
Nei racconti del maggiore, l’indagine Iblis comincia nel 2006. Dopo l’operazione Dionisio che aveva raggiunto reggenti ed elementi di spicco di Cosa Nostra etnea, la mafia all’ombra dell’Etna doveva riorganizzarsi. «Così cominciammo a indagare sui personaggi che ci sembravano i possibili successori – spiega Arcidiacono – Vincenzo Aiello, il cassiere di Cosa Nostra catanese e vice del rappresentante provinciale Eugenio Galea, e Rosario Di Dio per l’area del calatino, particolarmente attivo ed esigente, si riteneva titolato per la leadership». Entrambi oggi imputati nel processo e sottoposti a diverse intercettazioni ambientali e telefoniche negli anni. Presso il suo ufficio all’interno del distributore Agip sulla Catania-Gela, per quanto riguarda Di Dio, e nella sua jeep Mitsubishi per Aiello. «A un certo punto le indagini si sono intersecate, con l’aggiunta di personaggi non noti in precedenza e di diversi imprenditori con contatti con Cosa Nostra. Alcuni estranei all’ambiente, altri collusi», continua il carabinieri. Tra questi, diversi nomi di imputati nel procedimento.
Arcidiacono ricostruisce in aula la figura e gli affari di Aiello. Arrestato nel 1994, dopo due anni di latitanza, a Mascalucia nell’indagine Orsa Maggiore, viene condannato a dieci anni e quattro mesi e scarcerato nel 2005. «E’ un uomo di fiducia di Nitto Santapaola, con un rapporto privilegiato con il figlio Vincenzo», racconta Arcidiacono. Raccolta l’eredità di Galea, gestisce i rapporti tra la famiglia catanese e la provincia, «con delega speciale per il Calatino». Tra i suoi uomini di fiducia ci sarebbero Antonino Bergamo e Bernardo Cammarata, mentre ad occuparsi per lui delle pubbliche relazioni sarebbe Antonino Sorbera. Tutti e tre condannati per associazione mafiosa nel rito abbreviato di Iblis. Tra i suoi uomini sul territorio, invece, secondo le indagini dei carabinieri, ci sono Franco Costanzo, presunto reggente di Palagonia, insieme a Massimo Oliva e Giovanni Buscemi; per Ramacca avrebbero risposto invece Pasquale Oliva che doveva contendersi il potere con Di Dio. Un binomio consolidato anche dal matrimonio tra la figlia di Oliva, Clara, e il figlio di Di Dio, Filippo. A Castel di Judica invece stava Tommaso Somma, cognato del più noto Pietro Rampulla, artificiere della strage di Capaci.
A fare da collegamento con Catania c’era Carmelo Finocchiaro, «vero grimaldello di Aiello per le attività degli imprenditori in provincia». In città, invece, il rappresentante di Cosa Nostra pare potesse contare su diversi imprenditori: da Mariano Incarbone a Franco Costanzo, passando per Santo Massimino, «il suo imprenditore di fiducia che si occupa di noleggio gru per le grandi opere», racconta il maggiore. Ma il lavoro di Aiello, prima dell’arresto, comprendeva anche riunioni – come l’invito a pranzo fatto a Franco Pesce – e i viaggi, sopratutto ad Enna – «che risponde a Catania» – e a Palermo per curare i rapporti con la famiglia mafiosa dei Lo Piccolo. Arcidiacono racconta di continui spostamenti di lavoro, compresi di pausa caffè all’area di servizio di Sacchitello, continui scambi di auto e cellulari spenti da giorni che ricompaiono a Santa Flavia, nel Palermitano. «Tra qualche mese Aiello riceverà la seconda condanna per associazione mafiosa con ruolo apicale – lo interrompe l’avvocato Salvatore Catania Milluzzo – Ha senso sprecare tempo per discutere di certi temi? Certamente rilevanti a livello sociologico e giornalistico, anche simpatici, ma che restano una perdita di tempo».
[Nella foto, Vincenzo Aiello]