Iblis, il sindaco di Palagonia e la mafia Il Pm: «Fagone favorì il boss Di Dio»

«Avete avuto tempo per conversare. Ora sedetevi». Se c’è una cosa che fa arrabbiare Rosario Grasso, presidente della quarta sezione penale del tribunale di Catania, è il ritardo. Come quello di tre quarti d’ora con cui oggi, a Bicocca, è cominciata l’udienza del processo Iblis sui presunti intrecci tra mafia, politica e imprenditoria nel Catanese. Nemmeno i numerosi testimoni che si avvalgono della facoltà di non rispondere lo urtano così tanto. Quasi invece i testi reticenti, numerosi nell’appuntamento di oggi.

L’udienza si apre con la chiamata al banco de testimoni di Girolamo e Michele Riccardo Marsiglione: imputati in un procedimento connesso, sono stati condannati a otto anni per associazione mafiosa in primo grado nel filone di Iblis che si è svolto con il rito abbreviato. «Vuole rispondere?», chiede il presidente a Girolamo Marsiglione. «No, no, no», ripete tre volte a scanso di equivoci. Ad avvalersi del silenzio è anche Michele Castiglione, così come tutti gli altri imputati del filone parallelo finora chiamati a testimoniare. La situazione non migliora con l’ingegnere gelese Emilio Brunetti. Che, solo dopo aver risposto alle prime domande – tra la confusione del pubblico ministero Agata Santonocito e le risatine degli avvocati della difesa – si scopre essere stato scambiato per un parente omonimo. Il vero Emilio Brunetti, testimone da citare nel processo, sarà sentito alla prossima udienza.

Al banco vengono poi chiamate due donne, madre e figlia. La prima è Angela Naselli, ex moglie – separata dal 2000 – di Francesco Conti. Figlio di Calogero, detto Zu Liddu, considerato lo storico boss di Cosa Nostra nel territorio di Ramacca. Le domande del pm Santonocito riguardano tutte un passato rapporto di lavoro della figlia di Naselli, Sara Conti. Per un periodo, prima di sposarsi, amministratore di una società che si occupava di sostegno ai minori disagiati a Palagonia, con un canone annuo versato dal Comune allora retto dall’ex sindaco Fausto Fagone, ex deputato regionale Pid e imputato in Iblis per concorso esterno in associazione mafiosa. Per circa un mese, la società ha avuto sede in un locale dato in concessione dalla stessa amministrazione. Un’attività che, secondo i magistrati, sarebbe stata favorita dalla vicinanza di Fagone con gli ambienti malavitosi e, soprattutto, dalla raccomandazione di Rosario Di Dio, anche lui imputato per mafia nello stesso processo e considerato dai magistrati il nuovo boss di Ramacca fino al suo arresto.

A madre e figlia viene chiesto dei propri rapporti con Di Dio. E in aula c’è solo silenzio. «Lo conosce? Non è reato», deve ripetere Santonocito più volte a entrambe. «Io mi avv…», tenta di dire Angela Naselli. «Lei non può avvalersi di niente», così il pm blocca sul nascere la volontà della testimone di non rispondere. «Mah… Sì, ci conosciamo». «Da quanto tempo? Dieci, cinque, un anno?», incalza il pubblico ministero. «Un anno…». «Un anno?!». «Nooo». A rispondere in modo netto al posto della signora Naselli c’è una intercettazione, effettuata dagli investigatori nel distributore di benzina Agip gestito da Di Dio, dove il presunto boss dice alla madre: «Hanno cercato di scoprire perché tua figlia ha avuto questo incarico. Ci rissi, fici male?, ca è figghia di ‘n cumpari miu». «Se la ricorda questa conversazione?», insiste il magistrato. «No», risponde calma la signora. «Devo ricordarle che lei può essere accusata di falsa testimonianza – interviene il presidente – Perché è reticente».

Niente di più si riesce a cavare dai racconti della diretta interessata, la figlia Sara. Tra risposte a gesti e monosillabi emessi in un filo di voce, conferma la versione della madre: poco ricorda, Di Dio lo conosceva come chiunque altro e Fagone allo stesso modo. Sa dire solo che prima lavorava e oggi, che è sposata e ha due figli, non più. «Il servizio di sostegno ai bambini disagiati è stato interrotto perché il Comune di Palagonia non aveva più i fondi», conclude.

[Foto di Ondablv]


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