Tre paesi per tastare i molteplici volti della settimana santa nell'isola. Tradizioni antiche, in cui il religioso si mischia al pagano. A Scicli, nel Ragusano; San Biagio Platani, provincia di Agrigento; e Prizzi, nel Palermitano. Un tuffo nell'isola, quella meno battuta, ma custode di tradizioni secolari
I riti della Pasqua in Sicilia Tra gioia, cereali e diavoli
Tre paesi per tastare i molteplici volti della settimana santa in Sicilia. Tradizioni antiche, in cui il religioso si mischia al pagano. Come a Scicli, provincia di Ragusa, dove il Cristo Risorto diventa semplicemente Il Gioia. O a San Biagio Platani, nell’Agrigentino, tra pani monumentali, mosaici di cereali e lampioni vegetali. Fino a Prizzi, nel Palermitano, dove i diavoli e la morte corrono per le strade tentando di evitare l’incontro tra Gesù appena risorto e la Madonna. Un tuffo nell’isola – quella meno battuta, ma custode di riti secolari – che festeggia la Pasqua.
SCICLI
È pazzo di gioia, è l’uomo vivo… barcolla, traballa, al cenno si solleva. In questi versi di Vinicio Capossela c’è tutta l’essenza di una festa che ha ben poco di religioso, ma che rappresenta un rito collettivo che è un vero e proprio inno alla gioia. Sta tutto qui il segreto della festa del Cristo Risorto di Scicli, in provincia di Ragusa, una delle rappresentazioni più stravaganti che si possano trovare nel panorama religioso, ma proprio per tale motivo capace di richiamare ogni anno migliaia di turisti provenienti da ogni parte della penisola e dall’estero.
Quando il cantautore vide per la prima volta l’evento, meglio conosciuto come la festa del Gioia (con l’articolo maschile), se ne innamorò a tal punto da volergli dedicare un brano che potesse rappresentare le emozioni provate nell’ammirare quella statua portata a spalla da centinaia di persone con un moto irregolare, senza una meta, al grido di «Giò giò gioiaaaaa!». Capossela inserì il brano L’uomo vivo nell’album Ovunque Proteggi pubblicato nel 2006, è una marcia allegra e divertente che racconta le fasi della festa di Pasqua a Scicli. In quel giorno quella statua lignea del settecento, attribuita al palermitano Benedetto Civiletti, viene portata in giro tra corse, salti, prove di forza e girotondi, in un clima di gioia per il Cristo risorto.
La festa del gioia arriva al culmine di una settimana santa intensa che inizia con la domenica delle palme e la processione dell’Addolorata della chiesa di Santa Maria La Nova, prosegue con l’Addolorata della chiesa di San Bartolomeo (risultato di un’antica rivalità tra le due confraternite che ha portato a raddoppiare i riti), per passare alla Via Crucis e alla processione del Cristo nella bara della chiesa di San Giovanni. Ma l’attesa è tutta per lui, per il Gioia: la festa inizia sabato sera con la resuscita (resurrezione). In quell’occasione il santuario di Santa Maria La Nova diventa una bolgia, quasi un concerto rock, tra urla e cori, tanto che negli ultimi anni, per evitare problemi, hanno deciso di svolgere la messa della resurrezione all’esterno con l’utilizzo di schermi giganti. Quando a mezzanotte si scopre il telo e appare il Gioia, la festa può iniziare. Per poter portare fuori il Cristo Risorto dalla Chiesa occorre aspettare l’indomani, dopo la processione religiosa dello Stendardo. Intorno alle 13, quando lo Stendardo rientra in chiesa, inizia l’ultimo momento della festa che terminerà solo a tardissima notte, senza un orario prestabilito, ma a discrezione dei portatori stessi.
SAN BIAGIO PLATANI
Sotto gli Archi di Pasqua la vita trionfa sulla morte, mentre la primavera esplode nella spettacolare teatralità delle forme e dei colori barocchi. Da tre secoli nel Comune dell’Agrigentino due confraternite, assieme a tutta la comunità, celebrano l’incontro vivifico tra Cristo risorto e la Madonna attraverso l’elemento più immediato e coessenziale alla vicenda umana: la grazia di Diu, il pane. Ereditata dai vicerè spagnoli del ‘500, la tradizione si è nel tempo evoluta, intrecciandosi allo sfarzo secentesco e agli elementi salienti della vita contadina siciliana: il risultato è un tripudio di archi variopinti che invadono il centro storico. Gli anziani raccontano che, in realtà, anticamente venivano costruiti solo due archi principali e si addobbavano i balconi con le cuciddate (forme di pane) benedette il giorno di Pasqua e poi distribuite a vicini e parenti.
Oggi, invece, i pani monumentali, i mosaici di cereali e le ninphe, lampioni vegetali che illuminano gli archi, vengono posizionati su molteplici ed enormi strutture collocate lungo il corso principale del paese. Protagonisti del rito sono le due congregazioni dei Signurara, che indossano un camice bianco con una mantellina rossa e hanno sede nella chiesa del Carmine, e i Madunnara, che sfilano in processione con il camice bianco e la mantellina azzurra e risiedono presso la chiesa Madre. Ogni anno, sin dai primi giorni di gennaio gli artigiani delle due fazioni religiose iniziano la lavorazione degli archi, dando vita ad una frizzante e sentita competizione: da una parte e dall’altra gli uomini costruiscono le strutture e le donne curano gli elementi decorativi. Durante tutta la festa, che dura un mese, nel più antico quartiere di San Biagio viene predisposto un percorso turistico che si snoda tra i vari laboratori, mentre per il resto dell’anno è visitabile il museo degli Archi di Pasqua: uno spazio espositivo di 500 metri quadrati interamente dedicato alla tradizione.
PRIZZI
Una delle manifestazioni più suggestive nel Palermitano è senza dubbio il Ballo dei diavoli di Prizzi. Una tradizione che affonda le proprie radici nei secoli e che si ripete ogni anno durante la domenica di Pasqua. Protagoniste assolute sono le forze del male, i diauli, appunto, che fin dal mattino insieme alla morte imperversano per le vie del centro cittadino con l’obiettivo finale di impedire l’incontro tra Gesù appena risorto e la Madonna.
I diauli indossano un costume rosso con delle grosse maschere di cartapesta su cui sono applicate delle corna animali, una lunga lingua di stoffa e una pelle di capra a coprire il capo ricadendo sulle spalle del figurante. La morte, che porta sempre in mano una sorta di balestra, ha un costume giallo con una maschera di cuoio che spicca per il grande sorriso beffardo. Le entità maligne girano per il paese importunando i passanti con scherzi e dispetti, trattenendoli finché non hanno pagato un piccolo obolo in denaro o in dolci.
Il culmine della manifestazione, tuttavia, si ha durante l’incontro, quando la morte e due diavoli si frappongono tra le statue dell’Addolorata e di Gesù risorto, portate a spalla dai devoti, impedendo con le loro danze che questi si incontrino finché, al terzo tentativo, sono degli angeli armati di spada a mettere fine al ballo e permettere così che la riunione tra madre e figlio si possa compiere in un tripudio di campane che suonano a festa.