I nuovi occhi di Catania Storie dalla città che verrà

Giorgia, Aurelio e Victoria sono tre catanesi di domani. Nasceranno tra poche settimane alle falde dell’Etna, probabilmente all’ospedale Cannizzaro, perché le loro madri sono pazienti dell’ambulatorio solidale che opera nella struttura. Tre mamme con storie, percorsi e vite diverse. Dei cammini lontani nello spazio e nel tempo che le hanno portate a incontrarsi proprio a Catania, per dare alla luce tre piccoli uniti dal loro essere figli dell’Etna. Almeno per quanto riguarda la nascita. Dove sarà il loro futuro, infatti, dipende dalle opportunità che la città saprà offrire. Né più né meno di quello che succede ai bambini marca Liotro da generazioni.

«Vorrei che mia figlia avesse gli occhi grandi. Mi piacciono molto. Ma non è possibile». Il pancione di Ye è messo in risalto dalla maglia a righe colorate che indossa. Viene dalla Cina e vive in Italia da quando era ragazzina. Prima abitava a Bologna, poi ha seguito il marito a Catania. Chiamerà sua figlia Giorgia, un nome pronunciato deliziosamente nonostante la consonante per lei ostica. «Anche i miei due figli più grandi hanno nomi italiani, ma adesso vivono in Cina». Per un attimo ammutolisce e, quando riprende a parlare, lo fa con qualche difficoltà. «Andavano a scuola qui, ma non si sono trovati bene, non erano felici», racconta con una veloce scrollata di spalle. Difficile per loro integrarsi in una città diversa, dopo i primi anni di scuola passati in Emilia Romagna. «”Vogliamo andare dai nonni, vogliamo andare a casa”, dicevano sempre». E per loro casa non è Catania né l’Italia, ma un posto lontano migliaia di chilometri dalla propria madre. Tornare da loro? «No, adesso c’è Giorgia a cui pensare», sorride. E se anche lei si trovasse male in Sicilia? Ye si guarda le righe della maglietta disegnandone i bordi con un dito. «Per adesso stiamo qui. Spero che per lei sia diverso. Poi… poi vedremo se seguirà i suoi fratelli, quando li conoscerà».

«Mio figlio ha 15 anni e improvvisamente gli ho dovuto dire che avrà un fratello. Pensa la sorpresa». Helena ha un’età indefinita, come il passato attraverso il quale è impossibile scorgere delle certezze. Di etnia rom, ha una lunga coda biondo cenere che ondeggia sulla schiena. «Cosa fai nella vita?», le chiede l’ostetrica che la visita. «Schifo», risponde senza esitazione né autocommiserazione. Helena vive facendo l’elemosina nelle strade della città e mille altri lavori che chiama vagamente «cose», agitando una mano per aria. La donna scopre di aspettare un bambino mentre si trova in Francia. «Era appena morto mio padre – spiega parlando quasi a se stessa, gli occhi grigi che si velano un po’ – Mi dicevo: “Come posso pensare a un neonato con la vita che faccio?“». Poi l’ecografia svela che si tratta di un maschietto. «L’ho visto come un segno, come se in qualche modo mio padre è tornato. Per questo lo chiamerò Aurelio, come lui». Continuerà a vivere a Catania? «Bah, solo Dio lo sa», risponde agitando ancora una volta la mano.

«Mio figlio più grande ha quattro anni, si chiama Wisdom, vuol dire saggezza, è un nome biblico. Lei la chiameremo Victoria, un altro nome sacro». Queen viene dalla Nigeria, suo marito dal Ghana. Tre anni fa sono partiti dall’Africa assieme al loro bambino di appena 20 mesi. «Lì non c’è futuro», dice scuotendo la testa. Per oltre due anni sono costretti a vivere in Libia. Cosa abbia vissuto nel campo vicino alla costa, in attesa di imbarcarsi, non lo vuole nemmeno descrivere. Poi, nove mesi fa, finalmente riescono a racimolare quanto basta per pagare il viaggio pieno di incertezze verso la Sicilia. «Mio figlio aveva quattro anni – afferma con amarezza ricordando i tre giorni a bordo – È stato molto, molto brutto». La famiglia riesce ad arrivare a Lampedusa, poi viene trasferita al Cara di Mineo. Lì Queen scopre di essere incinta. «Sono tanto felice di avere una femmina – dice raggiante – Speravo fosse una bimba». Alta più di un metro e ottanta, si dondola portando le mani dietro la schiena e per un attimo sembra molto più giovane dei suoi vent’anni. «Voglio trovare un lavoro, non mi spaventa la fatica – assicura – Voglio restare qui, mi trovo bene. I miei figli e mio marito sono al sicuro. In Sicilia saremo felici».


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Giorgia, Aurelio e Victoria nasceranno nelle prossime settimane. Le loro madri - una cinese, una rom e una nigeriana - sono tre donne con storie molto diverse. Ma le loro strade le hanno portate alle falde dell'Etna, a dare alla luce tre bambini uniti dal loro essere i catanesi di domani

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