La relazione della Direzione nazionale antimafia, presentata nei giorni scorsi alla Camera, dedica diversi passaggi al capoluogo siciliano. Centrale nella riorganizzazione di Cosa Nostra, che starebbe vivendo la sua fase di transizione, e importante anche nell'entità della risposta della giustizia. Guarda le mappe
I numeri della criminalità organizzata a Palermo «Resta il luogo dove la mafia esprime più vitalità»
«La città di Palermo è e rimane il luogo in cui l’organizzazione criminale esprime al massimo la propria vitalità sia sul piano decisionale sia sul piano operativo». È solo uno dei passaggi della relazione annuale della Direzione nazionale antimafia dedicato al capoluogo siciliano. Il documento, presentato nei giorni scorsi alla Camera, si riferisce al periodo che va dal 1 luglio 2014 al 30 giugno 2015 ed è l’ultimo aggiornamento disponibile sulla criminalità organizzata nella penisola. Tra le quasi mille pagine della relazione, Palermo ricorre spesso. Anche in cifre, come quelle relative ai processi per mafia: 70 contro persone note – quasi 20 in più rispetto all’anno precedente -, con 424 indagati. Numeri che la rendono la terza città per quantità di procedimenti – dopo Napoli e Catania – e per numero di indagati, dopo il capoluogo partenopeo e Reggio Calabria. Una trentina invece i processi per traffico di droga, per un totale di più di 300 indagati. Tra le indagini portate avanti dalla Direzione distrettuale antimafia palermitana ci sono anche quelle che mirano alle tasche dei mafiosi: nell’anno analizzato sono state 50 le misure patrimoniali emesse, 175 quelle che hanno coinvolto sia i beni che i loro proprietari.
Ma l’Antimafia mette in guardia: «Non ci si può illudere sul fatto che lo Stato, approfittando della momentanea debolezza della mafia, possa più agevolmente e definitivamente sconfiggerla». Parte della relazione è così dedicata a indagare la delicata fase di transizione in cui si trova la criminalità organizzata. Mutamento che resterebbe però bene ancorato a due certezze: «L‘unitarietà dell’organizzazione e il rispetto delle regole». Alla ricerca di un equilibrio tra passato e presente che, secondo gli investigatori, passerebbe anche dagli esponenti: giovani non sempre appartenenti di sangue a famiglie mafiosi, affiancati da storici padrini il cui nome servirebbe a dare credibilità ai gruppi. «Le indagini dimostrano peraltro il continuo e costante tentativo di ristrutturare e fare risorgere le strutture centrali di governo dell’organizzazione criminale – si spiega nel documento -, in particolare la commissione provinciale di Cosa nostra Palermo, quale indispensabile organo di direzione dell’intera organizzazione mafiosa».
Un compito non semplice se si considera «l’assenza, in Cosa Nostra palermitana, di personaggi di particolare carisma criminale in stato di libertà, seppure latitanti». Una situazione che ha comportato un cambiamento nelle abitudini mafiose. Se prima si registrava una «violenta contrapposizione interna tra famiglie e mandamenti» per occupare i posti di potere rimasti vuoti dopo gli arresti, oggi si assisterebbe a «una cooperazione di tipo orizzontale tra le famiglie mafiose della città di Palermo». Una solidarietà necessaria a garantire la stabilità degli affari. Tra cui «un rinnovato interesse per il traffico di stupefacenti e per la gestione dei giochi, sia di natura legale che illegale», si legge nella relazione della Dna. Business a cui si affianca un altro settore di tradizionale interesse mafioso: il pizzo. Ma con alcune novità. Secondo il documento, a Palermo ovest «le estorsioni si mantengono su livelli costanti, con contrazione degli atti intimidatori negli ultimi due anni», mentre «è aumentato il numero delle denunce».