La festa dei morti continua ed essere una delle celebrazioni più sentite tra la popolazione etnea. Nonostante l'avvento dell'anglosassone Halloween, le visite nostrane dei defunti, i giocattoli, le fiere e le ossa dei morti tengono duro rispetto a teschi e zucche. E spaventano pure di più
I Motti a Catania, tradizioni horror Altro che Notte delle streghe
Due novembre, festa dei morti. Quasi un ossimoro. In Sicilia, però, la commemorazione dei defunti diventa una festa vera e propria, con fiere, dolci tipici, vacanze da scuola e regali da trovare sotto il letto. Una celebrazione che, nell’immaginario comune, assorbe anche il giorno di Ognissanti e che non teme il confronto con l’anglosassone Halloween, preferita dalle nuove generazioni. Tradizioni nostrane, sempre quelle, tra le più macabre ed inquietanti in circolazione, quasi più spaventose di teschi, zombie e vampiri.
A Catania in particolare, il culto della morte e del ricordo di chi non c’è più si trasformano in un rito che, quando arriva novembre, non si limita soltanto al lasciare un fiore speciale sulle tombe dei cari, ma prende forma nella prima rama di Napoli sui banconi di panifici e pasticcerie, nelle bancarelle della fiera dei morti che montano nel piazzale di turno, nella ricerca del giocattolo da far trovare a figli, nipoti e cuginetti la mattina dei motti al loro risveglio. Usanze sempre più spesso accompagnate, negli ultimi anni, dai riti di Allouìn – storpiatura nostrana di Halloween – tra feste in maschera, serate in discoteca e bambini travestiti da mostri che girano per i quartieri intenti al tradizionale «trick or treat?» alla ricerca di dolciumi e caramelle tra vicini spesso impreparati.
Ma se ad Halloween si esorcizza la morte impersonandola e divertendosi tra zucche spaventose, sangue finto e teste mozzate, da noi è proprio la parvenza di solenne realtà delle celebrazioni a fare paura. Forse più della Notte delle streghe. A cominciare proprio dal fulcro della festa: i doni che i cari estinti portano ai più piccoli la notte del primo novembre. I bambini – che notoriamente sono molto più furbi di quanto si possa pensare – nell’approcciare la festa dei morti e la credenza che siano i defunti a portare loro i doni nottetempo si dividono in due gruppi: quelli che – nonostante i più rocamboleschi stratagemmi messi in atto dai genitori – non ci credono a prescindere e quelli che ci credono sì e no, ma sono facilmente impressionabili, magari perché più piccoli di età. Il pensiero che quella notte un nutrito gruppo di fantasmi si aggiri per la loro casa li lascia un filino terrorizzati. Così i primi metteranno la casa sotto sopra alla ricerca del regalo e, una volta trovato perché lo trovano sempre , faranno finta di niente per non far restare male mamma e papà, attendendo più o meno impazientemente la mattina del due per godersi i loro doni. I secondi, invece, passeranno la notte insonni temendo di imbattersi in spiriti fluttuanti di nonni e zii che probabilmente non hanno mai nemmeno conosciuto perché spirati anni prima della loro nascita. Colpo di grazia per il sonno già precario di questi bambini è la raccomandazione che, fino a qualche anno fa, i genitori delle famiglie più tradizionaliste non mancavano mai di fare loro: «Mi raccomando dormi eh, che se fai finta i motti ti grattano i piedi e, se sei sveglio, ti mettono la cera negli occhi». Così, giusto per rassicurarli.
Altra caratteristica della festa sono le celebrazioni tra il sacro e il profano che oggi resistono ancora nelle case dei più anziani. Queste ultime, la notte a cavallo tra il primo e il secondo novembre, saranno interamente ricoperte di foto, fiori e lumini rossi seminati per casa in pieno cimitero style, per rendere omaggio ai mutticeddi. Senza contare la tradizione, più antica e quindi oggi meno in uso, di apparecchiare la tavola con dolci tipici della festa e bicchieri d’acqua, per permettere ai defunti, stanchi del viaggio dall’oltretomba, di trovare ristoro una volta giunti a casa. Il tutto rigorosamente a lume di candela. Atmosfera da far invidia ad un film horror.
E così, dopo le file chilometriche per raggiungere il cimitero, odissee tra i viali affollatissimi dei Tre Cancelli, e garofani e crisantemi venduti a peso d’oro che neanche le rose a San Valentino, nei due giorni di celebrazioni i catanesi non si fanno mancare una capatina alla fiera dei morti, giusto per sfantasiare ed esorcizzare la morte portando a spasso i più piccoli in occasione delle vacanze da scuola e lavoro. Alla fiera dei morti, di solito, si va per comprare giocattoli, ma anche per risparmiare sull’acquisto si scarpe e giubbotti per l’inverno ormai alle porte. Con la speranza vana quasi ogni anno – che il sito scelto per allestire le bancarelle non si allaghi a causa del diluvio che puntualmente si abbatte sulla città in coincidenza della festa. Con l’unica pecca che tutta la popolazione cittadina, apparentemente triplicata per l’occasione, si riversa in quei pochi metri quadri nello stesso momento, rendendo quasi impossibile far compere e congestionando il traffico urbano intorno all’area interessata.
Dulcis in fundo – è proprio il caso di dirlo a non mancare mai sulle tavole catanesi nel periodo dei Morti sono i dolci tipici. Rame di Napoli innnanzitutto, ma in versione moderna, farcite con nutella, crema di pistacchio e marmellate. Tra i più gettonati troviamo poi gli ‘nzuddi di mandorle al miele, i pupi di zucchero, la frutta martorana diffusi soprattutto nelle Sicilia occidentale – e le immancabili ossa dei morti, biscotti secchi fatti con farina, acqua e zucchero, famosi anche fuori dalla Trinacria per il loro nome dal sapore un filo macabro e la consistenza che sfida anche le dentiere più robuste. Ma che concorda in pieno con lo stile siculo della festa.
[Foto di Giuseppe Lazzaro Danzuso]