Il pericolo che continuino a non rispettare il codice di condotta voluto dal ministro Marco Minniti. C’è questo al centro del sequestro della nave della ong Proactiva Open Arms, disposto ieri dalla procura di Catania. È quanto si evince scorrendo le pagine del documento firmato dal sostituto procuratore Fabio Regolo. L’accusa per l’organizzazione non governativa è quella di avere voluto a tutti i costi portare in Italia i migranti recuperati giovedì scorso, nel corso di una delle tante operazioni che da tempo l’ong svolge nel Mediterraneo. Ai tre indagati – la capa missione Ana Isabel Montes Mier, il comandante Marc Reig Creus e il coordinatore generale dell’organizzazione Gerard Canals – viene rivolta l’accusa di associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina.
L’inchiesta nasce dai controlli effettuati a bordo dell’imbarcazione, dopo essere arrivata nel porto di Pozzallo, a conclusione di due giornate particolarmente difficili. Caratterizzate da un incontro ravvicinato con la guardia costiera libica, che – secondo le testimonianze del personale della ong – avrebbe mostrato le armi e intimato ai volontari di fare salire sulle motovedette nordafricane le persone precedentemente soccorse. Per la procura di Catania, però, la situazione non sarebbe stata così pericolosa, anzi proprio la presenza delle autorità libiche avrebbe dovuto rassicurare i volontari di Proactiva circa il fatto che i migranti non avrebbero corso rischi.
Nella ricostruzione fatta dal pm, si legge che Proactiva avrebbe deciso «arbitrariamente di continuare le ricerche e poi il soccorso degli eventi per i quali la guardia costiera libica aveva assunto il comando, chiedendo esplicitamente di non voler nessuno nella zona teatro dell’evento per garantire la sicurezza delle fasi di soccorso». Le ricerche hanno portato al ritrovamento di altri gommoni in difficoltà, informando il coordinamento centrale della guardia costiera italiana. Da Roma, però, sarebbe stato specificato che in questa occasione gli interventi erano sotto il controllo di Tripoli e che dunque sarebbe stato necessario contattare lo Stato di bandiera – la Spagna – per avere risposte in merito a quale porto utilizzare per lo sbarco.
Nel frattempo però – è già venerdì mattina – a bordo della nave di Proactiva è subentrata un’urgenza: l’aggravarsi delle condizioni di salute di un neonato ha richiesto un immediato sbarco a Malta. Le cui autorità hanno acconsentito all’approdo, domandando a conclusione del trasbordo quali fossero le intenzioni del comandante. A quel punto sia Reig Creus sia Montes Mier avrebbero detto di volersi muovere verso nord, ovvero verso l’Italia. Destinazione che sarebbe stata autorizzata da Roma. Con l’indicazione, appunto, del porto di Pozzallo. La decisione di Proactiva, però, per la procura di Catania guidata da Carmelo Zuccaro, sarebbe immotivata.
A spiegarlo è lo stesso magistrato titolare dell’inchiesta. «Il reato di immigrazione clandestina può essere scriminato solo se sussiste un reale pericolo per la vita dei migranti e soprattutto se al momento dell’intervento non vi fosse una valida alternativa». Condizioni queste che per il magistrato etneo non si sarebbero manifestate, neanche quando Proactiva è ripartita da Malta. Anzi. «Gli indagati una volta giunti in acque maltesi, benché le autorità avessero chiesto al capitano quali fossero le sue intenzioni, manifestando loro la disponibilità a occuparsi dello sbarco di tutti i migranti evitando una situazione di pericolo per le vite di questi ultimi, hanno proceduto con la navigazione lasciando il porto maltese».
La censura del pm è netta: «Il comportamento tenuto dagli indagati risulta in violazione dei dettami del codice di condotta che è stato dettato dalle autorità italiane, codice siglato da varie ong e comunque vincolante per tutti coloro che si rivolgano a Roma». Violazione che, senza sequestro, si sarebbe potuta ripetere: «Gli indagati operano professionalmente e strutturalmente per l’ong e hanno inteso consapevolmente e reiteratamente disattendere il codice». A opporsi a tali affermazioni è però Alessandro Gamberini, legale della capa missione Montes Mier. «Incontrerò la mia assistita soltanto nei prossimi giorni, ma già da ora posso dire che ci sono molti aspetti del provvedimento che mi lasciano perplesso – dichiara l’avvocato a MeridioNews -. La misura del sequestro per rischio di reiterazione del reato la trovo sproporzionata a quanto accaduto, per il semplice fatto che una nave che salva i migranti, se rimessa in mare, potrebbe fare soltanto ciò che in questi anni ha fatto». Gamberini si sofferma poi sull’accusa di associazione per delinquere: «Mi sembra un’ipotesi di reato messa sul tavolo solo ed esclusivamente per dare la possibilità alla Dda guidata da Carmelo Zuccaro di occuparsi della vicenda», attacca il legale.
Sulla questione, già nel pomeriggio, si era espresso anche l’esperto di Diritto dell’immigrazione Fulvio Vassallo Paleologo. «La procura di Catania – dichiara – scambia il codice di condotta, imposto da Minniti alle Ong lo scorso anno, con il codice penale che comunque non permette in alcun modo di configurare in questo caso i reati contestati perché la Libia non ha una zona Sar». Vassallo Paleologo continua riprendendo il pensiero espresso questa mattina a MeridioNews da Riccardo Gatti, uno dei responsabili di Proactiva. «L’ordine impartito dal comando della guardia costiera italiana non era conforme al diritto internazionale del mare che sancisce l’obbligo di soccorso e di sbarco in un porto sicuro, che non è certamente quello offerto dalla guardia costiera libica visto le condizioni di violenza generalizzata in Libia e i segni che portano sul corpo quelli che riescono ad arrivare».
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