I libri alla fiera della vita

Il primo problema è raccapezzarsi. Non saprei dire se ho mai visto un edificio più grande del Lingotto: il Louvre? Non so. Il Beaubourg? Credo proprio di no. Il Vaticano? Sicuramente è più grande, ma lo vedo come tanti edifici staccati, il Lingotto invece mi pare un blocco unico, ma così articolato da non capirci nulla, almeno per la prima ora di andirivieni.

Quando finalmente Gianni e io ci orientiamo, la prima sensazione è il rumore. Ma come? Sta a vedere che la Fiera del Libro non è esattamente una biblioteca gigantesca ma silenziosa… E infatti è una Fiera, dal nome onesto: quello promette e quello mantiene. Concerti, richiami, imbonimenti di varia natura, più visiva che acustica, a dire il vero. Ma il risultato è un gran chiasso: Marino Sinibaldi, il curatore di Fahrenheit, promette che l’anno venturo tutto questo chiasso sarà evitato; ma dubito che la principale produttrice di decibel, alla Fiera, fosse proprio la banda di Fahrenheit.

 

Quanto è stato difficile orientarsi dentro il Lingotto, tanto è stato facile, invece, trovare i padiglioni e gli stand, indicati per lettera e numero: il guaio è che l’occhio è distratto, c’è sempre un altro libro che occhieggia dai banchi, il nome suggestivo di un editore mai sentito nominare oppure un piccolo sobbalzo quando trovi, finalmente, lo stand di un editore di cui invano hai desiderato di vedere i libri, che nelle nostre librerie siciliane non arriveranno mai… Lavieri, Gorée, Babalibri; De Ferrari, Il Maestrale, Fatatrac; Aìsara, Intra Moenia, Filema, Nino Aragno, Cronopio… Sembra di snocciolare la formazione del grande Torino o della grande Inter…

 

Mi tuffo su questi stand, dunque: che ci vado a fare da Mondadori o da Feltrinelli, i cui libri invadono ormai pure le cartolerie? Ma indugio nello stand Rizzoli, per comprare l’ultimo libro delle Winx a mia figlia, e scopro una cosa interessante: di taluni bestsellers si può comprare la copia normale o la copia autografata dall’autore. Già autografata, cioè: l’autore non c’è, magari non verrà in Fiera, ma la copia autografata c’è. E chi garantisce la veridicità dell’autografo? E quanto costa in più una copia autografata? Non ho cuore di chiederlo e me ne vado, vomitando.

Ma torniamo agli editori piccoli e raffinati; sembra l’idillio del bibliofilo ma, in fondo, non è così: qualche editore piccolo ma raffinato manca: perché è troppo raffinato e snobba la fiera? No, perché è troppo piccolo! Gli stand costano, alcuni editori si son dovuti consorziare per occupare un unico stand, qualche amministrazione regionale (il Veneto o la Campania, per esempio) deve averli sostenuti con un po’ di soldini, qua e là s’affacciano gli sponsor all’interno degli stand… Insomma, non siamo affatto in un bengodi culturale ma, appunto, in una fiera commerciale. Basta capirlo e non farsi troppe illusioni.

 

Nemmeno il tempo di vedere i primi stand e ho già un orario da rispettare: una tavola rotonda sulla recensione e la critica letteraria, alla quale partecipano alcuni amici che ho voglia di ascoltare. Arriviamo dunque alla Sala Rossa e troviamo lo strascico della presentazione di un libro che sta terminando: ed è come entrare in un assai realistico film dell’orrore. Nella saletta – già di per sé un po’ claustrofobica – vediamo al tavolo dei relatori un ectoplasma di donna, una statuina di Giacometti che si muove e sembra respirare: è Isabelle Caro, un’attrice marsigliese che ha raccontato la sua avventura di anoressica nel libro La ragazza che non voleva crescere (Cairo editore). Credo avrebbero dovuto obbligare qualche scolaresca a prevalenza femminile ad assistere alla presentazione: e invece c’è poca gente, che sciama via. Senza nemmeno averlo sfogliato, auguro a questo libro tanta fortuna: mi è bastato guardare in faccia l’autrice…

 

Dopo l’angosciante Isabelle, si dispiega il paradosso commerciale della fiera ed entra in scena Sua Maestà lo Sponsor: s’illumina uno schermo dietro il tavolo dei relatori e il faccione di un clone di Berlusconi (tale Ennio Doris, capo di Mediolanum, m’informa Gianni) vuol convincermi che lui è vero, che l’Italia di oggi non è un incubo riuscito. Mi risollevo lo spirito, poco dopo, ascoltando la mia amica Daniela Marcheschi, paffutella e coltissima, che innalza un’invocazione al ritorno di uno spirito profondamente umanistico: nella lettura, nella scrittura, nella vita. Daniela ha ragione, ma – ancora una volta  – siamo in pochi ad ascoltarla, e siamo tutti già d’accordo con lei, da anni. Un po’ più in là, Claudio Baglioni raccoglie folle adoranti, per presentare il suo libro che s’intitola… una cosa come C. C. D. L. S. Q. … C’è anche il vecchio Gino Paoli, a dire il vero, ma non vado a sentirlo, preferisco chiacchierare con una simpaticissima capoufficio stampa.

 

Assisto alla presentazione dei finalisti del Premio Biella, che è un premio di provincia, nel senso migliore del termine. È dotato di una giuria tecnica formata da persone molto serie e dalle competenze molto diverse (critici letterari, sociologi, economisti, storici): si capisce che hanno letto davvero i libri selezionati, e s’intuisce che anche la giuria popolare ha letto con passione i libri, per scegliere il vincitore; il presidente Gasparetto, dal canto suo, è persona troppo fine per infierire sugli scandali legati al Premio Grinzane Cavour, sembra proprio il trionfo del “piccolo è bello”. Mi sono divertito anch’io, che fino a ieri non sapevo neppure che questo premio esistesse.

 

Naturalmente, come ogni fiera, la Fiera del Libro serve a conoscere gente: ho fatto un paio di incontri molto belli, innanzitutto quello con Mario Baudino; ho rivisto vecchi amici che non incontravo da tempo, altri li ho mancati per un soffio. E mi chiedo: quest’anno la Fiera ha stabilito il record delle presenze, superando – se non sbaglio – anche Francoforte; ma quanti tra i visitatori erano semplici lettori e quanti erano operatori del settore? Più sono gli editori presenti, più sono gli operatori del settore, la gran parte dei quali paga il biglietto, sia pure ridotto. E allora? È davvero, questo del record di presenze, un dato incoraggiante sull’avvenire del libro e della lettura?

Non so né, in fondo, m’interessa troppo saperlo: constato che il libro più venduto in fiera è stato, tanto per cambiare, il nuovo romanzo di Faletti (che ho incrociato – simpatico – in jeans e cappellino), mi godo l’elegantissimo stand di Nino Aragno, quasi senza avere il coraggio di sfogliare i suoi splendidi volumi, resisto alla tentazione di comprare un po’ di inutili ma snobissimi ex libris, presento il libro che dovevo presentare e ho appena il tempo di correre in aeroporto.

Appuntamento al prossimo anno, mi auguro.

Giuseppe Traina

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