Il caso della parrocchia di Santa Maria Assunta a Barcellona Pozzo di Gotto è stato portato alla luce dalla trasmissione di Rai Tre Report. Si tratta soltanto di uno dei discussi usi che viene fatto degli Lsu, diventati l'emblema del precariato, con un sussidio mensile di poco superiore ai 500 euro
I lavoratori socialmente utili impiegati in parrocchia Prete: «Paga la Regione, ma non fanno da perpetua»
«Guardi io posso solo dire che rispettiamo le regole». È laconico il commento di Santino Colosi, il sacerdote della chiesa di Santa Maria Assunta di Barcellona Pozzo di Gotto, nel Messinese, quando gli viene chiesto dei sei lavoratori socialmente utili che vengono impiegati per le attività della parrocchia pur essendo pagati dalla Regione. Del caso Lsu si è occupato lunedì scorso il programma televisivo di Rai Tre Report, con un’inchiesta firmata da Bernardo Iovene. Il fenomeno vede la Sicilia tra le regioni protagoniste, con oltre 5600 persone che prestano attività nei luoghi di lavoro più disparati in cambio di un sussidio di disoccupazione che supera di poco i 500 euro.
Quella dei lavoratori socialmente utili, conosciuti nell’Isola anche con l’acronimo Asu, è una delle realtà che più fanno discutere parlando di lavoro. Fruitori di una misura concepita come temporanea, sono diventati con il passare del tempo l’emblema di una precarietà che si rinnova di anno in anno. Con ciò che ne consegue: dalla formazione di potenziali sacche di clientelismo al radicamento di una condizione socio-economica che dà ai lavoratori e alle loro famiglie pochissime possibilità di pianificare il futuro. Tuttavia, il reddito – seppure minimo e privo di contributi previdenziali – in molti casi rimane l’unica forma di sostentamento.
«In Sicilia ho trovato una situazione stranissima – racconta Iovene a MeridioNews -. Ci sono migliaia di persone che sono aggrappate a compensi non solo minimi, ma che si rinnovano nel corso degli anni vincolando i beneficiari. La legge in Sicilia consente poi di potere disporre di questo personale anche in realtà non pubbliche, trovandosi come datori di lavoro, appunto, i preti».
La provincia di Messina, con più di 1800 Lsu, è quella che più usufruisce di questo tipo di figure. Tra loro ci sono pure i sei lavoratori che cinque giorni alla settimana stanno vicino a da don Colosi. «Il giornalista di Report ha domandato chi di loro facesse da perpetua – commenta a MeridioNews il prete -. È stato un po’ capzioso, ma non me la sono presa. Il progetto per avere gli Lsu è partito ben prima che io arrivassi qui. All’inizio credo fossero una decina le persone impiegate, poi qualcuno ha trovato un’altra occupazione». Negli ultimi anni la parrocchia ha modificato le mansioni da affidare. «Abbiamo cambiato il progetto perché sono mutate le esigenze – prosegue Colosi -. Oggi lavorano molto di più nell’oratorio e nell’accoglienza degli stranieri, collaborando con i volontari del banco alimentare».
Per il prete, il fatto di beneficiare di forza lavoro stipendiata dalla Regione non dovrebbe suscitare alcuna perplessità. «Lo prevede la legge e noi l’abbiamo seguita – sottolinea il prete -. In passato abbiamo anche ricevuto la visita dell’Ispettorato del lavoro che ha trovato tutto a norma, facendo soltanto un rilievo: quello di firmare il registro presenze anche in uscita e non solo in entrata». A prevedere la possibilità di un impiego anche nelle parrocchie è una circolare assessoriale della Regione del 1999, che tra i soggetti promotori dei progetti prevede, oltre al pubblico e agli enti privati, «gli enti ecclesiastici proprietari di beni culturali, archivistici, monumentali, ambientali e paesaggistici».
In merito alla questione cooperative – l’inchiesta di Report ha messo in luce l’esistenza di coop che gestiscono decine di Lsu facendo sostanzialmente da intermediarie tra il singolo lavoratore e la Regione – don Colosi afferma che la questione non riguarda le persone che lavorano in chiesa. «Non mi risulta abbiano rapporti con qualche cooperativa, so che fanno riferimento a un Caf», conclude il sacerdote. A riguardo il pensiero del giornalista di Report è diverso. «In tutta l’Isola esistono tantissime coop coinvolte nella gestione dei lavoratori socialmente utili – commenta Iovene -. La cosa particolare è che a volte nemmeno si comprende come e perché siano nate. Il sindaco di Palermo ci ha detto – conclude il giornalista – che la sensazione è che spesso esistano solo per mantenere le persone che le amministrano».