Rimangono avvolti dal mistero numerosi particolari di quanto accaduto nella notte tra domenica e lunedì in contrada Xirumi, nella Piana di Catania. Gli investigatori hanno diversi dubbi sulla ricostruzione fornita da Giuseppe Sallemi
I ladri di arance uccisi nella Piana erano disarmati Botte e spari: il racconto del guardiano non convince
Aveva il porto d’armi ma poteva usare il suo fucile solo per andare a caccia. Non era autorizzato a portarlo con sé in occasioni diverse. In più: i tre ladri di arance non erano armati. Sono questi i dettagli che emergono sul duplice omicidio di contrada Xirumi, in territorio di Scordia. Giuseppe Sallemi, 42 anni, è indagato per il tentato omicidio del 36enne Gregorio Signorelli e per il duplice omicidio del 47enne Massimo Casella e del 19enne Agatino Saraniti. L’autopsia sui cadaveri delle due vittime, uccise tra gli agrumeti della Piana di Catania, è stata rinviata. Il pubblico ministero siracusano Andrea Palmieri ha accolto la richiesta degli avvocati difensori di Sallemi, Rocco Cunsolo e Francesco Calderone, di eseguire l’esame autoptico con l’incidente probatorio. Le salme, per il momento, restano nell’obitorio del Policlinico di Catania. Il fermo di Sallemi, nel frattempo, è stato convalidato mentre tutti gli atti sono stati trasferiti alla procura di Siracusa per competenza territoriale.
La dinamica
«Mi avevano minacciato di morte, mi avevano detto “tu stasera muori qui“, ho preso il fucile e ho sparato». È questa la ricostruzione dei fatti confermata da Sallemi durante l’interrogatorio di garanzia che si è svolto ieri nel carcere di piazza Lanza del capoluogo etneo. Stando a quanto emerso finora, Sallemi avrebbe sparato due colpi di fucile a distanza ravvicinata contro Signorelli (che è stato raggiunto all’addome e all’avambraccio sinistro). Casella è stato raggiunto da un colpo alla zona sottoscapolare destra, mentre i tre colpi a distanza ravvicinata diretti a Saraniti lo hanno colpito alla schiena, a un fianco e all’addome.
Il cuore delle indagini, adesso, riguarda la dinamica che ha preceduto quegli spari. L’indagato ha raccontato di un acceso contrasto, quel che è certo è che nessuna delle tre vittime era armata. «Abbiamo chiesto che vengano nominati dei consulenti per comprendere se l’indagato fosse del tutto o in parte incapace di intendere e di volere», dichiara a MeridioNews l’avvocato Francesco Calderone. Il buio di quella notte, i nervi tesi, le botte e le minacce avrebbero portato il 42enne addetto ai fondi agricoli (non aveva, infatti, un contratto da sorvegliante armato) a uno stato di confusione. Secondo la ricostruzione del legale, Sallemi avrebbe raggiunto i tre in mezzo al campo con la propria auto. Lì avrebbe trovato un furgone pieno di arance rubate e si sarebbe fermato.
A quel punto sarebbe nata una colluttazione. «Preso a schiaffi, buttato a terra, bloccato da due dei tre ladri. Mentre il terzo si allontanava e andava a prendere qualcosa nel furgone. Ha pensato che fosse un’arma», ricostruisce il legale. Rimasto solo con due uomini, l’indagato sarebbe riuscito a divincolarsi e a prendere il fucile. Non è chiaro, però, dove fosse. A quel punto avrebbe sparato, ma senza inseguire i tre che, nel frattempo, avevano cominciato a darsi alla fuga. Il racconto prosegue: Giuseppe Sallemi non avrebbe sentito alcun rumore. «Nessun rantolo né grido di dolore», e si sarebbe convinto che i suoi spari non erano andati a segno. A quel punto si sarebbe allontanato con l’auto, avrebbe raggiunto un luogo non lontano (ma non meglio precisato) e lì sarebbe rimasto quattro ore, «in stato di choc». Poi sarebbe tornato a casa, a Scordia, dove gli investigatori lo hanno trovato a letto.
Le indagini
La versione dei momenti precedenti e successivi agli spari, però, non ha convinto del tutto il sostituto procuratore Palmieri, che coordina le indagini delle squadre mobili di Siracusa e di Catania. Per gli inquirenti molti sono gli aspetti che restano lacunosi e su cui gli accertamenti sono ancora in corso. Il 42enne avrebbe esploso numerosi colpi di arma da fuoco contro i tre. Il numero totale sarà possibile ricostruirlo incrociando gli elementi raccolti sul posto dalla polizia scientifica, i dati che emergeranno dalle autopsie e le informazioni sull’operazione cui è stato sottoposto il 36enne ferito e ricoverato all’ospedale Garibaldi di Catania. Si tratta di colpi esplosi da un fucile da caccia – sotto sequestro – che sui corpi hanno un «impatto a rosa» dovuto ai diversi pallini per ogni sparo.
«La nostra linea – ha spiegato l’avvocato Rocco Cunsolo – è quella della legittima difesa». Stando a quanto risulta a MeridioNews, Sallemi è titolare di un porto d’armi per uso caccia e non per difesa personale. Quindi, oltre al fatto che al momento il periodo di caccia è chiuso, non avrebbe potuto portare con sé l’arma e utilizzarla come difesa. Il teatro dei fatti è una strada che costeggia più terreni nella zona di contrada Xirumi. Sallemi lì faceva il guardiano di diversi appezzamenti di terreno, anche se era stato assunto da una azienda agricola con un generico contratto di addetto ai fondi. Non era, quindi, una guardia particolare armata.
Le condizioni del sopravvissuto
Le condizioni dell’unico sopravvissuto, nel frattempo, migliorano. Avrebbe ripreso coscienza dopo l’intervento chirurgico a cui è stato sottoposto ieri dall’équipe del reparto di Rianimazione dell’ospedale Garibaldi centro. Le sue condizioni sono stazionarie e, salvo complicazioni, la prognosi potrebbe presto non essere più riservata.