«I diritti dei gay? Sono affare di tutti»

«Nessuna associazione, nessun partito: la lotta contro l’omofobia non è una luna sulla quale piantare una bandiera»: con queste parole Dario Accolla, uno degli organizzatori della fiaccolata contro l’omofobia tenutasi venerdì 4 settembre, ci spiega l’assenza di sigle a rivendicare la “proprietà” della manifestazione.

I luoghi sono gli stessi del 4 luglio, gli stessi del coloratissimo apparato del Sicilia Pride che ha addobbato a festa il centro storico catanese. Ad essere diverse sono le cifre: poco più di duecento persone hanno sfilato da piazza Stesicoro a piazza Università, in mezzo ad una città incuriosita, ma neanche troppo. I due eventi non possono certo essere paragonati, giacché il sapore del primo era quello di una festa, mentre sabato sera a farla da padrone c’era l’amarezza.

«L’affluenza, comunque, è superiore all’aspettativa», commenta Dario, «essendosi trattato di una manifestazione organizzata in quarantotto ore, all’indomani dell’attentato con le bombe carta fatte esplodere nella gay street di Roma».

Tanti omosessuali, e quasi altrettanti etero, fianco a fianco, reggendo candele nella consapevolezza che, per quanto si possa affermare il contrario, la battaglia contro l’omofobia è affare di tutti, è una questione di civiltà e di apertura mentale.

A Catania, si tratta di spazi: nei loro posti, nei loro locali, durante le loro serate, i gay hanno la possibilità di vivere la sessualità come meglio credono, senza essere disturbati. Altrove no, per lo meno, non sempre. Fuori da quell’universo che si sono costruiti attorno, c’è il rischio dell’insulto da parte di una società che non è ancora abbastanza matura.

«I gay friendly sono tanti, per questo non si può generalizzare in negativo», conclude Dario, «però vorremmo che ci fossero più vicini nelle lotte. Non dobbiamo essere noi omosessuali a stare chiusi in un ghetto, bensì dovrebbero rimanerci quelli che ci guardano con disprezzo».

Tra i partecipanti alla fiaccolata, comune è il risentimento nei confronti delle istituzioni, colpevoli di un silenzio indifferente che peggiora una situazione che, sulle strade, è già grave.

Il Parlamento Europeo, il 18 gennaio 2006, definiva l’omofobia come una “paura e un’avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (glbt) basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo e al sessismo”, Eppure Giuseppe, a margine del filone di candele, sospira: «Di fronte a quello che sta succedendo in Italia, è necessario che qualcuno parli, che la nostra presenza si faccia forte, anche visivamente. Non siamo invisibili. Le cose cambiano, devono cambiare, e noi omosessuali dobbiamo renderci conto che siamo in mezzo a tante evoluzioni, per indirizzarle».

E’ opinione generalizzata, poi, che sia importante che i riflettori non si spengano su una questione, quella delle discriminazioni nei confronti di glbt, che si ripropone in continuazione: è per questo che il 18 settembre Catania vivrà una giornata intera di rivendicazioni. La comunità omosessuale è scesa più volte in piazza per i diritti degli etero, è giunto il momento che gli etero scendano in piazza per i diritti gay.


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