Meno di 1400 abitanti, abbarbicato sui Nebrodi settentrionali ma a pochi chilometri dal mare, Montagnareale ha nei Sidoti la propria famiglia regnante. Il dato è cristalizzato nell’albo dei sindaci succedutisi negli ultimi tre decenni, ma emerge anche dagli atti dell’inchiesta della procura di Patti che, la scorsa settimana, ha portato all’arresto di Rosario Sidoti, l’attuale […]
I conflitti di interesse della famiglia Sidoti. Il marito sindaco e la moglie imprenditrice al tavolo per i fondi all’edilizia
Meno di 1400 abitanti, abbarbicato sui Nebrodi settentrionali ma a pochi chilometri dal mare, Montagnareale ha nei Sidoti la propria famiglia regnante. Il dato è cristalizzato nell’albo dei sindaci succedutisi negli ultimi tre decenni, ma emerge anche dagli atti dell’inchiesta della procura di Patti che, la scorsa settimana, ha portato all’arresto di Rosario Sidoti, l’attuale primo cittadino. Con lui sono indagati anche il padre, la madre, le sorelle, la moglie, la figlia, la cugina e la suocera, tutti a vario titolo accusati di avere avuto un ruolo nella gestione del ventaglio di società che sarebbero state usate, per citare le parole del gip Ugo Domenico Molina, come «pedine di un’unica scacchiera, astutamente mosse per realizzare obiettivi criminosi». Il coinvolgimento dei familiari di Rosario Sidoti – divenuto sindaco nel 2018, dopo che in passato a vestire la fascia tricolore erano stati il padre e la sorella Anna – ha portato il sostituto procuratore Andrea Apollonio a contestare l’associazione a delinquere. Il giudice per le indagini preliminari l’ha definita un’organizzazione dalla struttura sofisticata e «ricca di mezzi, disponibilità economica, appoggi, legami e connivenze».
Nel mirino degli inquirenti sono finiti i tanti fallimenti che hanno costellato la galassia societaria dei Sidoti. Epiloghi a cui si sarebbe arrivati per la volontà degli imprenditori di accumulare ricchezze, evitando di saldare i debiti contratti, in particolar modo quelli con l’Erario. Uno schema che fa pensare a una staffetta: «La società appartenente al gruppo – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – inizia la sua corsa, accumula debiti, distrae guadagni, compie operazioni fraudolente e, in prossimità del suo fallimento, cede il testimone (il patrimonio) a un’altra società del gruppo appositamente creata».
Il lavoro degli inquirenti si è concentrato anche su alcune vicende riguardanti il tentativo di accaparrarsi fondi per la realizzazione di immobili. Storie in cui inevitabilmente si intrecciano, e confondono, i profili pubblico e privato di Sidoti, e che hanno messo in allarme l’Anac. L’autorità nazionale anticorruzione ha approfondito la gestione dei bandi per la riqualificazione urbana, con la formula del partenariato pubblico-privato. Sidoti – tramite la Coge Restauri, amministrata formalmente dalla moglie – ha preso parte alle procedure indette dai Comuni di Librizzi e Montagnareale. Nella seconda circostanza, tutto si sarebbe svolto nonostante il macroscopico conflitto d’interessi. «Il partenariato è stato concertato tra il Comune, guidato da Rosario Sidoti, e la moglie del sindaco, Maria Sidoti», scrive il gip. Ad arricchire il quadretto di famiglia c’è pure un altro fatto: il terreno su cui sviluppare il progetto edilizio è risultato di proprietà di Antonino Sidoti, suocero dell’amministratrice di Coge Restauri e quindi padre del sindaco, nonché a sua volta già primo cittadino del paese.
Ma le criticità, per gli inquirenti, non fermano qui. Confrontando i progetti presentati dall’impresa a Montagnareale e a Librizzi, è emersa «l’assoluta identità della documentazione prodotta» per partecipare. Alla fine la proposta di Coge Restauri si è rivelata pure l’unica a essere stata ricevuta dagli uffici comunali dei due enti. Simili anche le richieste economiche: a fronte di un impegno della società a investire circa 2,5 milioni, la Regione avrebbe dovuto elargire fondi per tre milioni, mentre il contributo a carico delle casse finanziarie di ognuno dei due Comuni si sarebbe aggirato sui 120mila euro.
A Montagnareale, i Sidoti puntavano a realizzare due palazzine da cui ricavare una ventina di alloggi, tre quarti dei quali da destinare a famiglie svantaggiate. Un progetto encomiabile se non fosse – come affermato da Anac – che nel piccolo centro del Messinese non esiste un problema di carenza abitativa. Semmai il contrario: mancano le persone che dovrebbero vivere nelle case. «L’Autorità nazionale anticorruzione ha rilevato la medesima criticità, evidenziando – si legge nell’ordinanza – che il Comune di Montagnareale risulta avere subito nell’ultimo decennio una costante e sensibile flessione nel numero di abitanti che è passato da 1781, nel 2001, a 1541, nel 2018. La scelta dell’amministrazione, nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, avrebbe dovuto essere corredata da una adeguata motivazione di cui, invece, non vi è traccia».
Gli aspetti che non tornano per gli inquirenti sarebbero stati tanti. A partire dal fatto che il sito scelto per le palazzine, oltre a essere di proprietà del padre del sindaco, sarebbe – come dichiarato da un consigliere comunale di minoranza agli investigatori – «un terreno tanto scosceso da potere essere considerato burrone». Ma c’è di più: «Il progetto – scrive il giudice – faceva riferimento a un fabbricato esistente, mentre sul terreno oggetto di lavori non esiste alcun fabbricato». Infine ci sono i dati riguardanti la produttività della Coge Restauri a fronte degli impegni economici assunti con i Comuni di Librizzi e Montagnareale: tra il 2014 e il 2019, il massimo volume d’affari annuale registrato dall’impresa non è andato oltre i 351mila euro, mentre alla voce dipendenti ci si è fermati a quattro. Tra i quali si annoverano la madre e una delle sorelle del sindaco. «All’apparenza le operazioni sono prive delle pur minime garanzie di sostenibilità economico-finanziaria e ciononostante la partecipazione della Coge Restauri è stata avallata dalle amministrazioni comunali».
Sotto la lente della procura è finito, infine, il rapporto intrattenuto dai Sidoti con la politica. Se nel caso di Montagnareale si può dire che tutto è stato gestito letteralmente in famiglia, la vicenda di Librizzi sarebbe stata contraddistinta anche da «forti pressioni» da parte della locale amministrazione nei confronti del funzionario incaricato di seguire il progetto nelle vesti di responsabile unico del procedimento. Il dipendente, davanti alle insistenti richieste di nominare come direttore dei lavori il progettista della stessa Coge Restauri, ha preferito dimettersi. Agli atti c’è anche la registrazione di una riunione tenutasi al Comune di Librizzi. Dalle voci si capisce che tra i partecipanti c’era anche il sindaco di Montagnareale, in una veste che sarebbe stato difficile definire. Al punto che la presenza di Sidoti sarebbe stata omessa al momento di redigere il verbale.