I boss mafiosi che fanno i furbetti del reddito di cittadinanza A chiedere i sussidi dello Stato erano anche nomi eccellenti

Ci sono anche i boss di Paternò e Adrano tra i percettori del reddito di cittadinanza scovati dai militari del nucleo investigativo dei carabinieri di Catania, nell’ambito di un’indagine che ha confermato come anche i clan mafiosi riescano ad attingere i sussidi statali per contrastare povertà e disoccupazione. Sono 76 le persone nei confronti delle quali è scattata la sospensione delle erogazioni nonché la procedura per recuperare le somme fin qui ottenute. Non mancano i nomi importanti

Tra chi riceveva mensilmente l’accredito dall’Inps c’era, infatti, Franco Amantea. Uomo d’onore della famiglia Assinnata che a Paternò ha storicamente rappresentato l’articolazione locale della famiglia Santapaola-Ercolano. A inoltrare la richiesta sarebbe stata la moglie Antonietta, sorella del boss Turi Assinnata. Amantea è stato più volte coinvolto in inchieste su Cosa nostra, tra cui l’indagine Kronos. A parlare di lui è stato anche il collaboratore di giustizia Francesco Squillaci, conosciuto come Martiddina. «Ci accordammo con Nino Santapaola per affiliare Francesco Amantea e Turi Assinnata. Furono pungiuti nel 2003 in carcere a Bicocca, in un ripostiglio accanto ai bagni – ha messo a verbale Squillaci – Nino Santapaola fece da padrino a Franco Amantea, mentre io lo feci a Turi Assinnata». 

Il reddito di cittadinanza andava anche a Rosario Tripoto e Antonino Botta. I due erano tra i partecipanti – Botta mise a disposizione anche la casa – del summit in cui venne arrestato Santo La Causa, l’ex killer e reggente della famiglia Santapaola. Era l’8 ottobre del 2009 quando La Causa, all’epoca tra i principali ricercati in Sicilia, venne fermato. Dagli accertamenti compiuti dai militari del nucleo investigativo, guidati dal colonnello Piercarmine Sica, si è scoperto che Tripoto non era soltanto un beneficiario, ma aveva chiesto il sussidio in prima persona. Il nome dell’esponente mafioso è finito anche all’interno del processo ad Angelo Lombardo, il fratello dell’ex governatore Raffaele. A citarlo è stato il collaboratore di giustizia Salvatore Sciacca, dicendo che nel 2008 Tripoto organizzò un incontro nel Catanese in una villetta. Un faccia a faccia, nato per sostenere Lombardo e concordare la contropartita, in cui sarebbero volati anche gli schiaffi.

A ottenere il sostegno economico dello Stato era stato anche Vincenzo Rosano. L’uomo, considerato il capo del clan Rosano-Pipituni attivo ad Adrano, nel 2017 è finito sulle pagine dei giornali, per i necrologi comparsi per i muri della città che annunciavano la morte del figlio Valerio. All’epoca 26enne, il giovane aveva da poco iniziato a collaborare con la giustizia. Una scelta che il clan decise di accogliere in maniera plateale, ripudiandolo. Vincenzo Rosano, a fine febbraio, è finito tra gli arrestati dell’operazione Adrano libera. Nel complesso, le somme indebitamente percepite che sono finite nell’indagine superano i 600mila euro


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