I 400 vecchi dell’economia italiana che stanno affondando il nostro Paese

A DESCRIVERLI, IN MODO MAGISTRALE, E’ SANDRO CATANI NEL SAGGIO “GERONTOCRAZIA”. IN QUESTO LIBRO TROVIAMO TUTTI I FURBI DELL’ITALIA DI OGGI, DALLA FIAT A TRONCHETTI PROVERA. UN RACCONTO AVVINCENTE. CHE SPIEGA PERCHE’ IL NOSTRO PAESE – UN TEMPO LA SETTIMA POTENZA INDUSTRIALE DEL MONDO – OGGI CON CONTA PIU’ NULLA. CHE FARE PER LIBERARCI DI QUESTI SIGNORI? APRIRE AI GIOVANI E ALLE DONNE

Sandro Catani nel suo saggio “Gerontocrazia” passa in rassegna lo stato di salute del capitalismo italiano. Ne viene fuori il ritratto di un capitalismo arrogante nei confronti della società nazionale che lo ospita e questuante nei riguardi del potere politico, qualunque esso sia.

Questi vecchi signori dell’economia italiana – anzi, di quello che resta dell’economia del nostro Paese – rappresentano appieno il declino economico, e non solo, dell’Italia anche nella composizione anagrafica: i suoi rappresentanti “sono maschi, hanno età media di 70 anni e i loro guadagni sono elevati ed intoccabili ed il loro sistema di sopravvivenza è bloccato ed accompagna il declino dell’Italia”.

Nel libro sono descritti il funzionamento della comunità degli affari, dove le relazioni contano più del merito e dove il ricambio generazionale avviene per cooptazione ed il nepotismo è l’unica regola comune accettata: tutte condizioni che contengono le ragioni dei ritardi e del declino nazionali. Tutte circostanze che contrassegnano un’Italia conservatrice.

Il libro, tuttavia, indica la strada da intraprendere per avviare il cambiamento culturale: aprendo ai giovani e alle donne si restituiranno ambizione e voglia di fare.

Il commento al sistema è apparso su “l’infiltrato” che trae spunto da una recensione del Il Fatto Quotidiano. Dove si racconta che la consistenza numerica di questi ‘vecchi’ dell’economia italiana si aggira sulle 400 unità: gerontocrati intenti ad occupare le poltrone del potere economico nelle banche, nelle aziende pubbliche, nelle imprese quotate, nel sistema cooperativo, nonché studi di consulenze strategiche e grandi studi legali.

Il libro di Catani opera, tra l’altro, una rivisitazione storica degli scritti sulla gerontocrazia e menziona Jean James Fazy, politico elvetico amico di Giuseppe Mazzini che, nel 1828 scrisse “De gerantocratie, ou abus de la sagesse des veillards dans le governement de la Fgrance”. Un’opera critica degli abusi della saggezza dei vegliardi per esprimere la condanna verso la generazione dell’89, cioè la generazione che aveva fatto la Rivoluzione del 1789: “Che straordinario istinto di dominazione muove la turbolenta generazione dell’89? Essa ha cominciato ad interdire i propri padri e finisce col diseredare i propri figli. Il risultato è una Francia concentrata e rimpicciolita in sette-ottomila individui eleggibili, ma asmatici, gottosi, paralitici e arteriosclerotici”.

Nel suo lavoro di ricostruzione storica della letteratura sul tema, Catani ricorda anche Ernesto Rossi e il suo libro “I Padroni del vapore”. In esso l’autore descrive gli orientamenti della borghesia imprenditoriale italiana tesi ad appoggiare il potere politico del momento, che in quel caso è il fascismo. Salvo poi, dopo averlo sostenuto, a metterlo in discussione e a declinare le scelte precedenti.

Ecco il modo meschino che caratterizza la cultura di comodo della grande borghesia imprenditoriale italiana e la sua ‘adattabilità’ a tutte le circostanze e a tutti gli eventi, purché i suoi interessi ed il suo potere siano comunque garantiti. Che tristezza!

Questa è, purtroppo, la cultura di comodo di quella che si autodefinisce classe dirigente. Una testimonianza di grande attualità è quella della famiglia torinese degli Agnelli, che hanno perseguito “con ogni mezzo” l’unità d’Italia, per garantire i propri interessi dell’epoca, e che adesso, ancora una volta per assicurare i propri interessi ed il loro potere economico non esitano un solo istante a collocare i loro averi al sicuro tra l’Olanda, il Regno Unito e gli Stati Uniti d’America. Con tanti saluti all’Italia. Tanto, chi se ne frega?

D’altra parte, da una famiglia che ha coltivato grande amicizia con Henry Kissinger, amico dei Contras in Nicaragua, del generale Pinochet contro Salvador Allende in Cile, quale legame ci si poteva aspettare con il Paese che l’ha allevata e sostenuta per un intero secolo, se non quello dello sfruttamento e dell’arricchimento parassitario? E tanti saluti.

A differenza di quanto Fazy stimava per la Francia post 89, in Italia il gruppo al comando è composto , sì e no, da circa 400 individui. Infatti, l’imprenditoria italiana è composta nella sua quasi totalità da piccoli imprenditori che si affannano tra difficoltà creditizie e di mercato ed arrancano nelle esportazioni. Costituiscono l’ossatura economico-produttiva del Paese, ma vengono massacrati: non a caso, per loro, proprio in questi giorni,. il Governo Renzi ha confezionato l’obbligo del Pos per tutti e il ripristino dell’anatocismo bancario.

I pochi papabili al potere, invece, sono quelli che non cacciano un solo euro dalle proprie tasche, epperò beneficiano di ampio credito da parte delle banche delle quali sono anche azionisti. Emblematico a questo proposito è l’acquisto da parte di Tronchetti Provera (foto sopra tratta da ilfattoquotidiano.it) di Telecom Italia senza che questi abbia ‘cacciato’ un solo centesimo di suo: a pagare Colaninno sono stati i crediti bancari attribuiti in capo alla Telecom ed in danno dei piccoli azionisti che hanno visto svanire i propri risparmi investiti nella pubblic company ideata al momento della privatizzazione da Carlo Azeglio Ciampi. Un capolavoro!

Il fallimento della nostra borghesia imprenditrice è tutto nel fallimento dei loro tentativi d’impresa. I marchi italiani sono tutti in mano ad imprese estere: dall’alimentare al tessile, dalle telecomunicazioni al fashion, dalle banche al trasporto aereo e via elencando. Per non parlare del sistema di capitalizzazione di Borsa, laddove attraverso i patti di sindacato i padroni del vapore con un minimo impiego di capitali controllano le imprese e ne traggono i maggiori profitti, in danno dei piccoli risparmiatori.

Tutto ciò concorre a determinare sia l’incapacità del capitalismo italiano di fare impresa e di creare ricchezza ed occupazione. Ed è proprio questa la causa della decadenza economica dell’Italia: un Paese alla deriva, che ormai non dispone di grandi imprese competitive nel mercato globale. mentre la piccola imprenditoria massacrata dalle tasse sopravvive, ormai solo in parte, se il mercato interno tira.

Se a questo aggiungiamo il ‘Patto di stabilità’ e il Fiscal compact, beh, non c’è da stupirsi se anche le piccole e medie imprese saltano a migliaia con gravi conseguenze sull’occupazione, sul reddito e, non ultimo, sul Prodotto interno lordo che si riduce.

In questo quadro desolante, le 400 persone che costituiscono l’oligarchia italiana degli intoccabili continua ad ingrassare, utilizzando le proprie ‘appartenenze’ e le proprie relazioni al fine di determinare le scelte strategiche delle politiche economiche generali.

Per citare alcuni esempi del fallimento, culturale prima che economico, di questi ‘vegliardi’ dell’economia italiana, ricordiamo l’ossessivo attacco alla condizione dei lavoratori e l’ancor più ossessiva richiesta di abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Una norma che, con la produttività aziendale e sulla ripresa economica, non ha nulla a che vedere perché riguarda i licenziamenti individuali e la loro “giusta causa o giustificato motivo”.

Infatti, l’attacco all’articolo 18 non ha alcuna incidenza né sul costo del lavoro, né sulla produttività aziendale. Altro non è che un limite all’arbitrio padronale nell’azienda di potere allontanare i lavoratori che pretendono rispetto della loro condizione e dignità e al loro ruolo. In sostanza, si tratta di una norma di garanzia che ad alcuni grandi imprenditori non va bene, perché rappresenta un limite al loro potere assoluto nelle aziende. E questo fatto, per loro che sono abituati a comandare, non è tollerabile. Si tratta quindi di una lotta di potere che con l’economia aziendale non ha alcuna relazione.

Le sedi dei conciliaboli di questa casta di intoccabili sono note. Il meeting Ambrosetti a Cernobbio, il meeting di Rimini promosso da Comunione e Liberazione, la Banca d’Italia (che ormai è privata e che continua a comportarsi come un istituzione dello Stato: sceneggiata tipicamente italiana) in occasione della assemblea dei Partecipanti per la lettura della relazione con le considerazioni finali del Governatore o il World Economics Forum di Davos in Svizzera. Sedi nelle quali si incontrano i signori degli affari, dell’economia e della finanza con gli esponenti dei partiti politici e dei membri del Governo per, magari, convenire strategie economiche che poi dovranno valere per tutti i cittadini, i lavoratori e le piccole aziende.

C’è da stupirsi se il nostro Paese – un tempo la settima potenza industriale del mondo – non conta praticamente più nulla?

Riccardo Gueci

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