Grande recessione o Grande concentrazione? La crisi è figlia dei monopoli che hanno ucciso le pmi

CONTINUA DI DISINFORMAZIONE ORGANIZZATA SULLA FALSA RIPRESA ECONOMICA DEL NOSTRO PAESE

Ormai, e certo non casualmente, non si fa altro che riempire tutti i telegiornali di notizie spesso inutili quando addirittura non false (come “ripresa economica” o “ritorno alla normalità” di cui tutti i capi degli ultimi governi si sono riempiti la bocca). Termini come “recessione” o “inflazione” fanno ormai parte della vita di tutti gli italiani, nessuno escluso.
Quello che non molti sanno o, meglio, dovrebbero sapere è che questi termini non rappresentano la situazione attuale della nostra economia. Non è quello che sta avvenendo nel nostro Paese.

Per spiegare correttamente cosa sta avvenendo in Italia, in Europa e in molti Paesi del mondo industrializzato il termine esatto è “stagflazione”. I nostri governanti (visto, tra l’altro, che una buona parte di loro sono luminari scesi dalle cattedre universitarie per dedicarsi a tempo pieno alla politica) dovrebbero spigare ai cittadini, dall’alto del loro pulpito, cosa sta realmente accadendo. O meglio, cosa loro hanno fatto perché tutto ciò avvenisse, forse senza neanche comprendere fino in fondo le possibili conseguenze.

Il termine “stagflazione” risale all’inizio del secolo scorso. Allora, intorno agli anni Trenta, avvenne qualcosa che non era mai avvenuto prima. O meglio che non era mai stato studiato e classificato scientificamente. Fu in quel periodo che si verificò un incremento generalizzato e continuativo del livello dei prezzi, con conseguente perdita del potere di acquisto della moneta (fenomeno generalmente chiamato inflazione). Contemporaneamente, i livelli di attività produttiva scesero a livelli molto più bassi di quelli che si sarebbero potuti ottenere usando in modo efficiente ed efficace le potenzialità produttive a disposizione. Si ebbe cioè una stagnazione (o recessione). La conseguenza fu un aumento della disoccupazione, un rallentamento della produttività e una discesa dei consumi e dell’accesso al credito.

Ebbene, di solito i due fenomeni non si verificano insieme, anzi: quando l’inflazione diminuisce, il minor costo del denaro genera un aumento dei consumi e, viceversa, quando il costo della vita aumenta, i consumi diminuiscono. Durante un periodo di stagflazione, invece, si assiste ad un calo dell’inflazione (e, di conseguenza, dei tassi di interesse) e, contemporaneamente, ad un netto calo dei consumi (che coincide con un aumento dei prezzi dei beni al consumo). Ciò è esattamente quello che sta avvenendo oggi. Nel scorso secolo questo fenomeno si è verificato due volte. La peggiore crisi avvenne intorno agli anni Trenta negli USA.

Keynes, che riteneva che la recessione dovesse avere come logica conseguenza un calo dei prezzi (deflazione), dovette invece constatare una “stagflazione” come conseguenza del periodo di crisi che caratterizzò l’economia degli anni Trenta. Da un’attenta analisi si capì che la causa di questo fenomeno (che, è bene ricordarlo, caratterizzò forse la più grande crisi economica che gli USA, a memoria d’uomo e anche oltre, abbiano attraversato) era dovuta ad una smodata e irrazionale centralizzazione del potere economico nelle mani di poche multinazionali che controllavano il mercato al di sopra di ogni normale regola economica.
È passato quasi un secolo ma la gente non sembra aver appreso la lezione. La ”stagflazione”, oggi come allora, è stata generata da una situazione di quasi monopolio e dall’esistenza di cartelli sia pubblici che privati. In altre parole, quello che spesso viene presentato come il “fallimento del mercato”, in realtà è dovuto solo ed esclusivamente all’assenza o all’uso scorretto del meccanismo competitivo. Il motivo per cui in moltissime città italiane i negozi chiudono non è conseguenza, come qualcuno vorrebbe far credere, della crisi economica: le piccole e medie imprese si trovano con l’acqua alla gola (e spesso soffocano) a causa della concorrenza scorretta che gruppi monopolistici internazionali attuano sul territorio.

È successo in Grecia (aziende che prosperavano e che producevano ricchezza per il territorio sono state costrette a chiudere o sono fallite). È successo a Cipro e la stessa cosa sta avvenendo, oltre che in Italia, in molti Paesi europei. Per quelli le cui economie non sono ancora in uno stato di “crisi palese”, riuscire sopravvivere è solo un’illusione che deriva dall’aver praticamente imposto l’acquisto dei prodotti delle proprie industrie ad altri Paesi (si pensi, ad esempio, alla Germania). È così che grandi gruppi come le case automobilistiche (che da decenni non fanno altro che associarsi e unirsi per poter influenzare il mercato e trasformare una concorrenza reale in un oligopolio), le aziende del settore alimentare (Nestlè in testa), le grandi case farmaceutiche, le banche, le aziende petrolifere e quelle energetiche e, in una parola, tutte le imprese hanno dovuto scegliere tra unirsi fino a diventare dei “mostri” in grado di dialogare e competere con altri “mostri” o soccombere.

È stato così anche nel settore assicurativo e nel settore bancario: le piccole banche e le piccole compagnie d’assicurazioni poco o niente hanno potuto fare per fronteggiare la concorrenza dei colossi e o sono fallite o sono state assorbite dai grandi gruppi, quelli che da molti anni ormai sono in una condizione di crisi, ma che grazie all’influenza che riescono ad esercitare sul potere centrale riescono a sopravvivere (basti pensare al caso della rivalutazione del capitale sociale della Banca d’Italia e ai benefici economici che tale scelta ha avuto sui bilanci dei maggiori gruppi bancari italiani).
Il venir meno di un numero enorme di piccole e medie imprese ha concesso ai pochi sopravvissuti il potere di dettare le regole del mercato. In un mondo in cui c’è un solo fornitore di beni o servizi (o uno sparuto numero organizzato in lobby) le leggi “della domanda e dell’offerta” non esistono più e a decidere cosa si deve comprare e quanto pagarlo sono solo le grandi imprese. Le stesse che a volte adottano strategie di marketing asfissianti contro le quali poco o niente può fare il mercato. Oppure che, altre volte, impongono al mercato (grazie alla collaborazione mai gratuita di chi gestisce la cosa comune) regole che, per essere rispettate, impongono l’acquisto di certi beni o servizi. Si pensi ad esempio alle norme che impongono alcune vaccinazioni o, ultimo in termini di tempo, ma non ultimo, all’obbligo di effettuare certi pagamenti con carta di credito o assegno o bonifico (imponendo in tal modo anche a chi potrebbe farne a meno di aprire un conto in banca e riducendo in tal modo la circolazione di moneta circolante). O ancora all’intervento dell’Antitrust nei confronti delle compagnie di assicurazioni dopo aver scoperto che, casualmente, in Italia, i clienti pagano per l’RC auto le tariffe più care in Europa, segno evidente dell’esistenza di una lobby).
In America la stagflazione, prima negli anni Trenta e poi, più di recente, verso la fine degli anni Sessanta, lasciò ferite che devono ancora rimarginarsi (forse è per farlo che gli USA continuano a dichiarare guerra a Paesi che non possono contrastare il loro potere militare).
La storia (e non i presunti dotti signori al potere da decenni) ci insegna che i processi inflazionistici più importanti sono sempre stati dovuti all’emissione di valuta e alla capacità di un Paese di produrre reddito. L’Italia è stata privata per decisione di alcuni della propria moneta. Ora chi ci governa sta facendo di tutto per favorire l’azione delle grandi multinazionali che mirano ad impedire la creazione di reddito sul territorio. Le stesse multinazionali che hanno poi aiutato chi gestiva la cosa comune, a creare una stagflazione che permettesse loro di “imporre”, grazie alla crisi, regole che facessero comodo solo a pochi.
L’unico soggetto che potrebbe intervenire per frenare questo processo è la Banca d’Italia riequilibrando la massa monetaria in circolazione. Senza considerare che anche loro stanno pagando (con i soldi degli italiani, grazie alla riqualificazione del capitale sociale di Bankitalia) la cattiva gestione e gli sperperi degli ultimi decenni. E, ammesso volesse provarci, la BCE non glielo permetterebbe. Senza considerare che la BCE ha “regalato” 1000 miliardi di Euro alle banche al tasso dell’1 % (soldi che poi le banche hanno rivenduto, a tassi ben diversi, ai cittadini). 
Recentemente un’economista, Rogoff, ha detto “Non siamo in una grande recessione ma in una Grande Contrazione, la seconda dopo quella degli Anni Trenta”. Per risolverla è necessario adottare misure precise e a volte non convenzionali (come un “trasferimento” di ricchezza dai creditori ai debitori, attraverso i default, la “repressione finanziaria” o l’inflazione). Ma per farlo è necessario che chi gestisce la cosa comune riconosca i propri errori e non si venda proseguendo sulla strada (sbagliata) intrapresa dai predecessori.
Ma soprattutto è indispensabile che la gente capisca qual è realmente la situazione in cui si trova il Paese e imponga a chi governa di cambiare rotta. Sempre che non sia troppo impegnata a guardare la partita o l’ultima puntata della fiction preferita….


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